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Che James Wan fosse tra i più abili volgarizzatori del cinema horror e un talentuoso riproduttore di codici, linguaggi e archetipi è ormai noto. Con lui, il cinema orrorifico ha perso profondità per divenire il regno dell’hic et nunc: a Wan non interessa, se non in forma di involucro contenitivo, nè l’aspetto “sacro” del genere, nè la sua ramificazione genealogica in un continuum storico e leggendario: le indagini dei Warren, le collaterali parentesi di Annabelle, servono esclusivamente da cornice ad opere che vivono del loro labile, circoscritto presente; un presente di eterna ripetizione di schemi narrativi, funzioni dei personaggi, uniformità estetica e cliché linguistici. Tanta produzione industriale non ha comunque impedito la realizzazione di film in cui è possibile individuare un entusiasmo, pensino una ricerca: si pensi alle melanconie rurali dei paesaggi di Annabelle 2, o alle sfrenatezze cinefile di The Nun.
La LLorona invece segna il volontario abbandono di qualsiasi ambizione: il produttore Wan e il suo instant director Chaves optano per un compendio elementare del genere – da un’impalcatura folkloristica puramente introduttiva, all’enumerazione di jump scares, apparizioni in CGI, generici stilemi j-horror e inquadrature convenzionali – all’interno di un incongruente abbozzo di sceneggiatura; un abbecedario minimo che sembra soddisfare il pubblico, ormai analfabetizzato ad un grado zero linguistico e narrativo.
La Llorona è una galleria di elementi in esposizione: un non-film la cui standardizzazione pulita e professionale mortifica l’immaginario (già agonizzante) del genere.
Facendo appiglio esclusivamente a rapide e grossolane emozioni momentanee, il film non scava nell’inconscio, non risuona nel ricordo nè nell’immaginazione; nasce e finisce nel momento del suo consumo, in quello studiatissimo “spavento” che altro non è che un inganno: è un horror privo di spirali, senza vertigini, ripiegato sulla sua scintillante provvisorietà. Non possiede una sua musica, una cavità sonora in cui possa riecheggiare la nostra paura; e non ha bisogno del nostro inconscio perchè parla semplicemente alla nostra superficie sensoriale, mediante suoni e apparizioni.
Wan si conferma come un efficiente divulgatore, appassito all’interno del proprio enciclopedismo e incapace di spalancare una vera dimensione onirica: sembra alieno al senso del meraviglioso, lontano dal piacere del terrore, incapace di vagare nelle oscurità in cui l’horror ha smarrito tanti spettatori nel passato. Controllo del pubblico e saturazione di elementi: queste le basi del suo cinema. Alla sua LLorona manca anche quell’enfasi teatrale tipica dei primi film: è un mostro stanco del palcoscenico, un demone da cabaret che troppo spesso ha ripetuto la stessa parte.
Rifatti la bocca con Il campione: è un film molto semplice, ma carino e pieno di trovate intelligenti.
L’ho visto, sono perfettamente d’accordo con te!
Allora scrivi una recensione anche su quello: i suoi incassi sono pietosi, quindi ha proprio bisogno di un po’ di pubblicità positiva. Grazie per la risposta! 🙂
In settimana sicuramente! Scriverò anche uno speciale su Carpenzano per il bimestrale dell’Istituto Luce, Otto e mezzo
Credevo che Carpenzano avesse vent’anni al massimo, invece scopro da Wikipedia che ne ha già 24: ci ha messo un bel po’ a trovare il suo spazietto nel mondo del cinema, ma meglio tardi che mai. Buona giornata! 🙂
Pingback: ANNABELLE 3 di Gary Dauberman | Frammenti di cinema - di Marcella Leonardi
In effetti non mi sono impressionata tanto….