MIRACLE di di Jang-Hoon Lee

Miracle, vincitore del premio del pubblico al Far East Film Festival 24, è a suo modo un miracolo: opera scopertamente commerciale, dimostra al contemporaneo e confuso cinema occidentale come sia possibile fare un film popolare senza però rinunciare a una regia personale e a tratti sorprendente, di grande delicatezza onirica ma anche in perfetto equilibro sui codici del dramma e della commedia. In 118 minuti di durata, il film si trasforma e ci stupisce con i ritmi, le vicende e il dolori dell’esistenza; Miracle parla di traumi infantili, ma anche delle risorse infinite del desiderio e dell’immaginario, soprattutto se illuminati dalla luce dell’amore.

Ci troviamo di fronte a un racconto di formazione allo stesso tempo denso e leggero, i cui personaggi vivono ai margini della società, ma non per questo sono meno vivi: come saltimbanchi, si librano sulla morte stessa e attraversano binari sull’abisso, pur di partecipare a quel rito collettivo che è la vita. L’adolescente Joon-kyeong vive con la sorella Bo-kyeong in una piccolissima comunità rurale e ogni giorno percorre chilometri a piedi attraverso pericolosi tunnel ferroviari, strade e ponti per raggiungere la scuola. Il suo sogno è una stazione che possa cambiare la vita dei pochi abitanti del villaggio e salvarli dai frequenti incidenti su quegli stessi binari che rappresentano l’unico collegamento con la città.

Ma Miracle si eleva sulla sua esile trama fatta di sogni giovanili e primi amori: la sceneggiatura osa un’architettura complessa, ritorna al passato, aggiunge prospettive ed elementi rivelatori in grado di gettare un nuovo colore sul presente; i protagonisti acquistano una realistica, toccante profondità, e da semplici figurine folkloristiche di una fabula già raccontata diventano caratteri vividi e sensibili, ribellandosi ai cliché da commedia rurale.
Il regista Jang-Hoon Lee osa il racconto fantastico e fantasmatico: il suo amore per i personaggi ci parla di fantasmi, di sentimenti talmente forti da concretizzarsi in un oltre invisibile; e non è facile stendere una tale delicatezza di tocco su temi quali il lutto, l’assenza, l’infanzia turbata da perdite e dolori e trasformare il tutto in un sogno dai contorni indefiniti e luminosi. Il rapporto di Joon-kyeong con la sorella Bo-kyeong sembra disegnato da Cocteau, con uno dei suoi semplici tratti allo stesso tempo umani e ultraterreni: corpi-angeli, costretti ad adattarsi all’esistenza terrena, alla quale portano il mistero di un sorriso. Il volto sorridente di Bo-kyeong ci parla di sofferenze senza peso, proiettate in un quotidiano talmente misterioso da farsi ricordo, illusione, resistenza al dolore e alle difficoltà del vivere.

Miracle, nella sua semplicità, fa affiorare sentimenti primari e ci induce al pianto: ma il regista non si adagia sul sentimentalismo e trascina lo spettatore in un turbinio di emozioni e sensazioni diverse: quelle offerte dal paesaggio, filmato in modo da enfatizzarne la solitudine e la separazione dal mondo, con carrelli, plongée, prospettive intensificate; e quelle che scaturiscono dalla scoperta dell’amore, mediante il personaggio di Ra Hee, studentessa innamorata di Joon-kyung con una fiducia e una naturalezza tali da scalfire la granitica resistenza del ragazzo. Non si possono fermare i sentimenti di Ra Hee, così come non si possono arrestare i fenomeni naturali o le piogge.
Miracle richiede un abbandono, un ritorno alla nostra essenza più semplice: in cambio, ci riempie di meraviglia, ci conduce attraverso una danza esistenziale tra malinconia ed emozionanti colpi di scena; fino a concederci l’incanto di un bacio inaspettato che la nostra anima ingrigita, forse, non si aspettava più.

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