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Sarò impopolare, ma considero Scappa – Get Out di Jordan Peele un film estremamente modesto e privo di identità nonostante il suo successo (o forse, il successo è proprio dovuto alla trivializzazione dell’horror, che lo rende di facile accessibilità).
Jordan Peele, ragazzone americano no-nonsense, dotato del tipico pragmatismo dei professionisti dello spettacolo statunitense, ha avuto un’idea: trasportare il discorso antirazzista all’interno di una struttura horror. Per farlo si è ispirato, per sua stessa ammissione, a classici del genere: da La notte dei morti viventi di Romero, a Shining di Kubrick e Halloween di Carpenter. Di ciascun film ha riprodotto una componente, e il risultato finale è piaciuto molto al pubblico: un pubblico ormai vittima della serializzazione televisiva, reso passivo da script che elargiscono metafore di facile interpretazione, ma inserite in un formato di brillante ironia e calcolata paranoia; prodotti manipolatori e capaci di illudere chi guarda d’esser dotato di una perspicacia rivelatoria.
Get Out di Peele inserisce l’osservatore in una dimensione solo apparentemente inquietante: in realtà i contenuti allegorici sono apparecchiati senza ambiguità, e i simboli sono di facile ubicazione. E manca, cosa davvero grave, un disegno formale, che è sempre alla base degli horror classici e più belli. Se pensiamo proprio a Romero, citato dallo stesso autore, non possiamo scindere La notte dei morti viventi dalla sua cupa, espressionista, artistica e accurata forma stilistica. Un autore come Romero, cresciuto all’ombra di Powell & Pressburger (tra le sue più grandi ispirazioni) non poteva ignorare la forza semantica che si sprigiona dal significante: il cinema è immagine, la metafora è figlia della capacità rivoluzionaria e destabilizzante della forma e della composizione cinematografica. La notte dei morti viventi è un gioiello perfettamente compiuto, in cui la precisa connotazione dell’immagine e lo studio della sua organizzazione in racconto creano il contenuto perturbante. A Get Out invece lo studio formale manca completamente: è un assemblaggio di parti prive di un centro, di una forza motrice, di una profonda pulsione estetica.
Get Out, con la sua simbologia pesante, la recitazione teatrale, l’incapacità di gestire il tempo e di strutturare le immagini in un continuum stilistico, è completamente, banalmente proteso alla resa efficace della sua figura retorica prediletta: la similitudine. Il cervo/vittima, il nucleo dei bianchi/oppressori, lo spazio profondo/smarrimento, il body invasion/espropriazione dell’identità; tutto in Get Out è molto elementare, privo di oscurità. E’ uno degli horror sicuramente più chiari, espliciti, incapaci di una sola sfumatura, d’uno spazio incerto in cui lasciare lo spettatore; quindi, è un non-horror. Il genere viene usato come variante della stand up comedy in cui si è formato Peele. L’horror come strumento, mezzo d’espressione di un concetto e messaggio sociale – con numerose scivolate nella battuta, nel numero comico – e non come fine. Get out è un film educativo, ed è questa la cosa più spaventosa, orrorifica di tutte.