IL CORSETTO DELL’IMPERATRICE di Marie Kreutzer

L’irrequieta imperatrice Elisabetta d’Austria, conosciuta come Sissi, viaggia attraverso l’Europa, alla ricerca di un’emancipazione che la liberi da un’oppressione tanto culturale e sociale quanto interiorizzata e autoinflitta.

Marie Kreutzer realizza un film di grande fascino irrisolto: come se il cinema, seppur bellissimo e impalpabile nelle immagini di cupa decadenza, tristi e dense di nubi, incorniciate da palazzi scrostati, si indebolisse di fronte alla valenza ideologica della sua protagonista. Un cinema rarefatto e nell’atto di svenire, come “finge” la stessa Sissi. La Kreutzer sa allestire una messa in scena densa, e il suo occhio seleziona angolazioni inedite, decentrando, spiando, preferendo l’immagine filtrata da vetri o dall’opacità dell’atmosfera: ma manca, al film, uno stile che riesca ad abbracciare la sequenza di sguardi “interrotti”. Corsage appare nevrotico ed estetizzante come un video musicale, e non per nulla alla musica è dato il compito di sorreggere la fragilità del tessuto visivo: la parte più significativa del film in tal senso è la danza di Sissi sui titoli di coda, dove l’intenzione teorica è finalmente dichiarata, e il baffo finto che compare sul suo volto è un chiaro invito a considerare il destino del personaggio collocandolo all’interno una chiave sessista.

Un cinema-pensiero, che segue l’irrazionalità del fluire delle idee nel rappresentare gli episodi della vita di Sissi, ma che risulta privo di movimento narrativo e la cui intrinseca staticità non trova soluzione nonostante l’espediente delle date impresse sulle immagini.
Vicky Krieps, intensa e magnifica, infonde personalità all’imperatrice sino a confondersi con lei, proiettando ombre contemporanee e un desiderio moderno di libertà che però trascende la verità del personaggio. Adulata da inquadrature tanto esteticamente curate quanto anonime, questa Sissi è un personaggio immaginato, una possibilità: è figlia di un assunto attuale, di un rancore emblematizzato da un dito medio che ha tutta la volgarità del presente.

Nella sua vitalità innegabile, Sissi ci appare come una figura femminile “fuori posto” in modo esplicito e posticcio: è un manifesto, un saggio sulla forza, contraddittoria e spesso autodistruttiva, della natura femminile in condizioni oppressive. I suoi capelli, il corpo strizzato nel corsetto, il viso coperto da maschere di pizzo e tutto l’apparato di una “corporeità” soppressa o mortificata cui fa ricorso la Kreutzer, paradossalmente sottolineano un’assenza di carne, sangue e “vere” emozioni del personaggio – cioè non destinate a un colloquio postmoderno col pubblico – in un eccesso dimostrativo che lascia poco spazio all’essere.

A questo cinema nuovo – di cui il presente è saturo – alla ricerca della donna e votato alla sua liberazione, o alla restituzione di una dignità che investe, modificandolo, il passato, manca un respiro naturale. Un filo ideale e “critico” lega la McDormand di Nomadland, la Carey Mulligan di Una donna promettente fino alla Sissi di Corsage: nell’ansia che anima le pur brave registe di restituire loro una qualità inedita, queste nuove figure femminili sono troppo appesantite da intenti programmatici per essere davvero libere.
Al cinema mancano, ancora, donne vere e reali, deresponsabilizzate da trasfigurazioni ideologiche. Non resta che registrare il fermento artistico del complesso periodo storico/sociale che stiamo vivendo, con tutte le conquiste e le inevitabili scorie che questo comporta.

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