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“Il cinema è meglio della vita. Nel cinema non esistono delusioni, tempi morti, è tutto lineare, tutto perfetto” dice Truffaut in Effetto Notte. E Bohemian Rhapsody fa esattamente questo: lungi dall’essere una ricostruzione fedele della vita di Freddie Mercury e dei Queen, aderisce al Mito eliminando tutto ciò che potrebbe essere disturbante o innecessario; una formula su cui Hollywood, soprattutto in epoca classica, si è basata per produrre una infinità di biografie filtrate attraverso polvere di stelle. Paradossalmente, nel film i membri della band rifiutano il concetto di “formula” per riuscire ad imporre proprio Bohemian Rhapsody, brano non classificabile secondo schemi conosciuti; la regia di Singer (e del suo sostituto Dexter Fletcher, non accreditato), invece, asseconda l’idea del manager della EMI: “le formule funzionano”.
I due registi traggono, dallo schema del biopic virato al meraviglioso, conforme all’ideale, permeabile all’immaginario collettivo, un film che è incessante intrattenimento “staccato” dal reale. Del resto, un film su Freddie Mercury è forse ancora più fedele se ambisce all’idea pura dell’artista, se asseconda il suo spirito “larger than life”: “il pubblico vuole toccare il paradiso” afferma in una scena il cantante, anch’egli alla ricerca di una dimensione anestetica che lo metta al riparo dalla realtà.
Bohemian Rhapsody, con un flusso trascinante di immagini la cui forza risiede in un’organizzazione strutturale senza cedimenti, una scalata scintillante, ritmica e avvolgente verso un climax che offre proprio il cielo al posto di una realtà documentaria. Fondamentale, per il progetto, l’apporto di John Ottman, montatore e compositore, cui si deve l’organizzazione delle scene in forma di partitura musicale.
Singer e Fletcher riescono, con una professionalità spaventosa e con la passione di chi vuole ritrarre tutta la luce possibile che emanava dal personaggio, a regalare al pubblico un film “platonico”: un ritratto puro e disincarnato. E’ un Freddie “universalizzato”, in grado di parlare ai cuori di chiunque, interpretato da un Rami Malek talmente devoto da esaltarne la vulnerabilità oltre al talento. Per rispondere a questo bisogno popolare, viene escluso quasi completamente dal film l’aspetto del corpo: è un Freddy non carnale, di cui viene censurato qualsiasi aspetto meramente fisico e pulsionale: niente a che vedere, ad esempio, con Dietro i Candelabri, la bellissima (e decisamente più sperimentale) biografia di Liberace realizzata da Steven Soderbergh, dove la sensualità veniva mostrata in tutta la sua trionfante evidenza.
Bohemian Rhapsody invece indossa un velo di puritanesimo: l’identità sessuale di Freddie, le sue incursioni nei club, gli incontri, le solitudini affogate nel vizio vengono appena accarezzate con un controllato senso del pudore; il film allude, taglia, si sofferma su clichè, e mai abbiamo la sensazione di toccare fino in fondo l’uomo oltre l’artista. In questo quadro, anche la diagnosi di AIDS viene fatta in un contesto quasi religioso, in una luce martirizzante. Ma è il prezzo da pagare per un’opera che ambisce ad essere trasversale e di massa: una perfetta macchina spettacolare ed emozionale, l’immagine allo stesso tempo pudica e potente di una star angelicata.
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11 h ·
Freddy Mercury era un Rosa+Croce (come Mozart, Bach e Goethe citati non a caso nel manifesto Bohemian Rhapsody), un grandissimo artista. pittore, disegnatore, poeta….tutto quello che ha fatto era all’insegna di un profondo schema simbolico iniziatico. Non raccontare tutte le fasi della sua straordinaria (dolorosa?) iniziazione interiore e affiliazione significa non raccontare nulla di Farrokh Bulsara. Fu per tutta la vita un cultore di teorie e pratiche esoteriche ed astrologiche oltre che un uomo incardinato nel culto zoroastriano (secondo i cui riti venne sepolto), una religione sapienziale che da secoli alimenta diversi segmenti della tradizione esoterica occidentale e medio-orientale. Il riferimento a Mercurio/Hermes, la sapienza “magico-ermetica”, la scelta del nome QUEEN come riferimento a “Faerie Queene” (“La Regina delle Fate”, del 1590) di Edmund Spenser. capolavoro ricchissimo di nuances esoteriche, ma soprattutto il rinvio all’archetipo della VERGINE-PERSEFONE-MARIA-REGINA DIVINA che genera forme nel seno stesso della MATERIA per mezzo, appunto, di Hermes-Mercurio…
Uno studio a parte meriterebbe poi il simbolismo del logo dei Queen disegnato dallo stesso Mercury.
P.S.
Breve ma autorevole analisi del maestro Carpeoro:
https://carpeoro.wordpress.com/…/02/il-mistero-dei-queen/
Il significato di Bohemian Rhapsody
Bohemian Rhapsody, un capolavoro mancato http://www.inmediarex.it/…/bohemian-rhapsody-un-capolavor…/…
Bohemian Rapsody, il film sui Queen piace a chi non conosce i Queen
https://www.agi.it/…/bohemian_rapsody_que…/post/2018-12-04/…
Ma infatti è un prodotto commerciale e superficiale; semplice spettacolo. Grazie dello scrupoloso e interessante contributo.
Pingback: ROCKETMAN di Dexter Fletcher | Frammenti di cinema - di Marcella Leonardi