Sono i molti i registi che hanno vissuto o vivono nel sogno di Hitchcock. E Una nuova amica inizia proprio come un Hitchcock interiorizzato, rarefatto, trasformato in ricordo da Ozon, che ne riproduce i movimenti di macchina e l’emotività sofferente. Ma il film si distacca subito da questa passione “necrofila” per un cinema passato, e si anima di vita propria: in pochi minuti ricostruisce un’esistenza, in una sintesi di tempo ed emozione. La giovinezza è un minuetto spezzato (stupenda la scena che mostra le amiche adolescenti al cinema, reminescente di Gli anni in tasca di Truffaut). Da questo intenso prologo, Ozon costruisce un percorso di identità, che riveste d’una luce ideale. Lontano dal pessimismo di Sirk quanto dal grottesco di Almodovar, Ozon compone un melodramma misurato, geometrico, in cui prevale l’atto del guardare/guardarsi. Virginia diventa uno specchio per Claire (sono molte le scene in cui i gesti dell’una sono ripetuti dall’altra). Lo sguardo come scoperta: il montaggio alternato in cui Virginia e Claire si truccano allo specchio nell’ansia di rivelare la propria femminilità è un crescendo emozionale. Qualcuno l’ha definito un film “corretto”, io l’ho trovato un film che, anche in quel finale così sognato e ideale, senza tempo né realtà, aspira al superamento di tutti i limiti dell’esistenza.