La regia di Whiplash ha il movimento irrequieto del jazz: vive di scene molto segmentate, sincopate, che confluiscono in un flusso che ha una coerenza propria. Più statico, quasi teatrale nelle scene di dialogo (confronti fatti di campi/controcampi, spesso con inquadrature dal basso verso l’alto e viceversa, per stabilire le gerarchie), esplode in un ritmo sussultorio nelle parti musicali: è allora che Whiplash diventa musica, montando rapidamente dettagli di strumenti, visi contorti nello sforzo, mani, sangue e sudore. Whiplash è un film diretto, essenziale nel suo farsi linguaggio aderente a ciò che viene mostrato; questa natura didascalica è la sua forza e il suo limite. E’ cinema di “carattere”, e i suoi personaggi, similmente, sono espressione di un carattere. I due protagonisti, governati da una spinta violentissima, sono due strali in moto propulsivo verso l’obiettivo, inarrestabili nella ricerca della perfezione, agitati da sentimenti quali narcisismo, invidia, desiderio di rivalsa. J.K. Simmons è eccitante e tuona con la furia di un fenomeno naturale (Louis Gossett jr. può esser fiero di una rilettura così potente dell’ archetipo da lui creato), ma è Miles Teller, con l’energia grezza e incontrollata della sua giovinezza, a possedere ombre luciferine.
Lo voglio guardare. La recensione, sintentica fa in modo che il lettore percepisca un sottofondo “malato”. Sarà una delle mie prossime visioni
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