**1/2
Se le nomination agli Oscar di Lady Bird sono sicuramente un riconoscimento eccessivo, non ci stupisce che gli Stati Uniti siano rimasti profondamente affascinati da questo brano di americana che la Gerwig orchestra a partire dalla sua sensibilità e formazione “indie”: una sensibilità che è lo specifico ed il limite del film, ma da cui la Gerwig cerca di affrancarsi.
Autobiografico e intriso di quel “mumblecore”, ovvero lo stile che definiva le opere indipendenti di inizio anni 2000 – trama minimale, basso costo, lunghe conversazioni attraverso cui si snodano rapporti amorosi e crisi giovanili – Lady Bird insegue un respiro più ampio, che riflette la vivacità culturale e le esperienze della regista. Certo, i codici del cinema indie sono presenti nella pluralità degli aspetti, inclusa la recente fossilizzazione in topoi ormai ridotti a rassicurante brand: la famiglia disfunzionale, le crisi interpersonali, la giovanile ricerca di sé, la diversità rispetto al contesto sociale, cui però corrisponde – quasi sempre nell’indie contemporaneo – una conciliazione finale. Ma Lady Bird cerca radici più profonde, un contatto con la Storia che va a cozzare col suo misurato anticonformismo.
Lady Bird tenta di comporre figure umane “aliene” nel proprio ambiente, secondo la lezione di Slacker (1991) di Richard Linklater, o Stranger than Paradise (1984) di Jim Jarmusch; aspira ad una struttura frammentaria ma pervasa di humour, come avveniva in Taking Off (1971) di Milos Forman; ed esprime un ideale di femminilità impacciata e colma di aspirazioni intellettuali che è tipica del cinema alleniano degli anni 70/80. L’influenza di film come Annie Hall o Manhattan, nella musicalità e libertà della struttura temporale quanto nella centralità dei dialoghi, è evidente, così come una forte sensibilità letteraria: Lady Bird vorrebbe essere un Holden Caulfield contemporaneo, il personaggio di un autore formatosi sul romanzo di Salinger e sulla sua capacità di ritrarre la fragilità e l’angoscia giovanili; una figura femminile desiderosa di elevarsi sino ad una libertà intima e poetica.
C’è tanto Novecento americano, con la condizionale di una “normalizzazione”, di un’esigenza di composizione dei conflitti che di Lady Bird è il punto debole.
La regista fa di Christine/Lady Bird la figlia ideale d’America, la giovinezza pulita e senza compromessi, la ribellione senza violenza e fratture. Una giovinezza/manifesto di un’autenticità perduta, che la Gerwig vagheggia con amore sincero: lo stesso con cui inquadra la sua Sacramento, dalle strade ai giardini, dalla vivacità dei quartieri allo scorcio di ponte, ennesimo dejavù alleniano.
Pingback: UN SOGNO CHIAMATO FLORIDA di Sean Baker | Frammenti di cinema - di Marcella Leonardi