***
C’è veramente da ammirare il coraggio di Gore Verbinski: tra i pochissimi, nel panorama di Hollywood, a correre dei rischi, a perseguire pervicacemente una visione personale che non si preoccupa di compiacere il pubblico, nè di asservirsi ad un mercato che chiede asettica professionalità e ripetizione di schemi collaudati. Il suo La Cura dal Benessere stordisce lo spettatore con due ore e mezzo di durata: una lunghezza estenuante e satura di suggestioni, al punto che sui titoli di coda si ha l’impressione di aver assistito ad una tragica catastrofe, un film-Frankenstein composto da una sequenza di declinazioni dell’horror, male amalgamate tra loro.
Eppure che fallimento affascinante, che audacia quasi suicida in quest’opera terribilmente ambiziosa. Verbinski viene fagocitato dal suo desiderio di grandeur che rincorre senza compromessi, e senza timore del ridicolo (in cui cade in una varietà di scene). Muovendo da un impianto scorsesiano (Shutter Island), Verbinski fa confluire la sua cinefilia nel magma di La Cura dal Benessere: da Stanley Kubrick (con echi che includono Arancia Meccanica, Shining e Eyes Wide Shut) al gotico della Hammer, dal body horror di Stuart Gordon o Yuzna alle vasche allucinatorie di Ken Russell, da Hitchcock (con una scoperta citazione di Vertigo) ai B movies anni ’70, passando per suggestioni burtoniane (soprattutto la colonna sonora) fino all’autocitazione (The Ring). Un progetto destinato all’implosione, al collasso per eccesso narcisistico.
Il film procede, senza troppo curarsi del buon gusto, attraverso una continua mutazione/immersione in una varietà di codici stilistici, finchè non giunge ad un senso di affaticamento e saturazione. Non è tanto l’assenza di coerenza stilistica a pesare – in fondo il cinema “incoerente” e sporco è anche vivificante – quanto un’enumerazione che si fa sterile, e finisce con l’appagare solo l’ego del regista, traballando su vuoti strutturali e spunti di trama abbandonati. Eppure, in tanto affastellarsi farraginoso brillano sequenze di grande fascino, come il ballo della giovanissima Mia Goth nel bar del paese, tra punk e guardoni: un momento di pura perversione, con la Goth che sembra reincarnare le giovani maladolescenti del cinema anni 70, da Eva Ionesco a Therese Ann Savoy.
E sono proprio i due protagonisti gli elementi più magnetici del film: i volti di Dane DeHaan e Mia Goth, così anomali e lontani dai canoni hollywoodiani di bellezza, da soli esprimono un sentimento di differenza, un’anomalia perturbante. Dane DeHaan col suo sguardo cavo, pallido e alieno (quasi un giovane Bowie) e Mia Goth, innocente e perversa, appaiono così meravigliosamente fuori posto nell’horror contemporaneo, popolato da visini puliti e rassicuranti (si pensi alle ragazzine di The Conjuring 2 o Oujia 2, ma anche della serie tv The Exorcist).
La fuga in bicicletta di DeHaan e della Goth, giù a perdifiato lungo la discesa, cadaverici e catatonici, è un momento di una squisitezza surreale; di rado assistiamo a scene così insolite nel cinema di Hollywood, e di questo dobbiamo ringraziare Verbinski, che si addentra in territori ancor più oscuri e controversi (come l’incesto e la pedofilia). Nel bene e nel male, La Cura dal Benessere è un film indimenticabile.
Gran bella recensione per un film che… ahimé, non ho ancora visto. Lo recupererò, malgrado tutti parliate dei suoi difetti. Sembra un bel fallimento 🙂
Magari mi dirai post-visione le tue impressioni 🙂