Il fatto che un film dalla bellezza sconvolgente come HEART OF THE SEA sia stato del tutto ignorato ai Golden Globes la dice lunga sullo “snobismo al contrario” che affligge la critica americana; una forma di diffidenza cronica nei confronti di un cinema, quello di Howard, da sempre considerato nulla più che spettacolo e artigianato professionale. Se la critica (e forse accadrà anche da noi) fallisce nel vedere la bellezza di questo film, alla base c’è un totale fraintendimento del concetto di arte cinematografica. HEART OF THE SEA è, in barba a tanta miopia, tra le cose più autoriali dell’anno. E’ incredibile come Ron Howard abbia fatto di questo film la summa di cento anni di cinema, studiati, amati ed assimilati, e qui vivi e presenti in una regia che fa della sua preparazione classica la propria forza innovatrice: una “grammatica” su cui Howard erige un cinema del tutto contemporaneo. Con HEART OF THE SEA, Howard si dimostra un regista immenso: ritroviamo tecniche, linguaggi, composizioni dell’inquadratura, movimenti di macchina che hanno fatto storia (impossibile fare nomi: c’è di tutto, dal muto al technicolor anni 50, dai chiaroscuri di Von Sternberg al movimento di Minnelli, dai codici classici degli studios al cinema più libero dei 70, e tanto altro); ma non vi è alcun citazionismo, è tutto forgiato in un cinema nuovo, personale, sperimentale.
Un capitolo a parte meriterebbe il dinamismo del montaggio, che nasce dalle avanguardie e viene aggiornato alla percezione contemporanea. Sicuramente Howard ha a cuore HEART OF THE SEA come il suo progetto più personale, il film di una vita.
Una delle questioni che il film ha suscitato è: si tratta di un’opera Melvilliana? La risposta è: chi se ne importa, quando si ha di fronte un cinema puro e totale come questo? Un film che non contiene un’inquadratura di troppo – Howard non è un virtuoso: non gli interessa l’effetto in sé, ma è tutto proteso al racconto, a rendere in immagini la storia e le emozioni. In questo senso il suo cinema è davvero etico, vi è un rispetto assoluto tanto del racconto quanto dello spettatore. Se si può (ancora) definire Howard un autore classico, è proprio per questo motivo: la completa messa a servizio delle sue doti autoriali all’opera. Non vi è il minimo narcisismo, ma un amore paziente, un sacrificio assoluto verso il film che si vuole creare. E poi Howard è come il “suo” Melville: vi è una battuta importante, in cui il personaggio-Melville afferma “il mio libro sarà un’opera di fantasia; la storia che mi avete narrato mi servirà da ispirazione”. Lo stesso fa Howard, e in questo caso il romanzo originale di Melville è l’ispirazione per il “suo” film. Un film che, oltre alla complessità linguistica, si affida ad una memoria pittorica di rado presente nel cinema americano di oggi: si va da perfette ricreazioni di Turner (più ancora che nel film di Mike Leigh), ai personaggi tormentati e mobili di Courbet, al romanticismo e alle nebbie di Friedrich . Ma tutto respira vitale, gigantesco, travolgente. La critica americana deve aver guardato a tanta arte con sospetto ed incredulità; e non perdona un regista che ancora fa cinema per il grande schermo.
Complimenti per la recensione! Confesso che sono andato a vedere questo film al cinema senza trooppe pretese e invece mi sono dovuto ricredere…davvero bello!
E’ davvero bellissimo. Vedo dal tuo sito che ami il cinema di genere, quindi non potevi non apprezzare un film come questo, che gioca molto con i generi e li contamina. Davvero un lavoro complesso e autoriale. Grazie!
Si mi piace molto il cinema di quegli anni…grazie per aver guardato il blog!
Prego! Fa anche piacere vedere qualcuno che legga non solo recensioni italiane, ma anche la migliore stampa straniera (ho visto che citi Kermonde)
Quando posso……😊
Vedo che anche tu comunque sei attivissima con le recensioni…se avessi più tempo penso le scriverei due o tre al giorno! ☺