Regression non è cinema, ma una giustapposizione di dialoghi, ripresi e tenuti insieme da scene di raccordo. Amenàbar predilige di gran lunga gli elementi verbali a quelli visivi, ed il suo film è un vuoto emozionale: tutto quello che vediamo in Regression è una mera ripresa, una registrazione visiva di personaggi impegnati in un confronto dialogico. E’ un film “parlato”, o meglio: Hitchcock l’avrebbe definito “fotografia di gente che parla”. Senza dialoghi non resta che uno scheletro di primi piani e pochi schematici campi-controcampi; dialoghi che, tra l’altro, sono del tutto inerti dal punto di vista della progressione narrativa: mal scritti e mal recitati, si abbandonano ad una logorrea che danneggia sia la tensione che l’economia del racconto.
A peggiorare questa struttura già debole si aggiungono i finti flashbacks. Amenàbar si serve di questi brevi squarci visionari per dare respiro alla claustrofobia verbale, ma si ha l’impressione di un facile espediente per sollevare un moto emozionale nello spettatore; quasi una decorazione posticcia, un trucco aggiunto per distrarre dall’immobilità del tutto.
Regression è un non-film che imita la televisione appropriandosi di un suo specifico – la scrittura, il dialogo – ma lo fa nel peggiore dei modi, ignorando almeno un decennio di serial televisivi che hanno ridefinito il concetto di qualità artistica, con elevatissimi standard sul piano del linguaggio, di storia e discorso, definizione dei caratteri, stratificazione semantica e sperimentazione estetica. Senza attingere ad esempi “alti”, qualsiasi poliziesco da canale regionale, o serie legale di terz’ordine, è sicuramente più avvincente di questo prodotto di Amenàbar, da lui sorprendentemente scritto e diretto: viene a mancare persino l’attenuante di un lavoro svolto su commissione. Stupisce che un regista del suo calibro, dotato (in passato) di sensibilità, gusto estetico ed esperienza “artigianale”, si sia smarrito al punto da perdere di vista del tutto la consapevolezza del mezzo-cinema: Regression è, in poche parole, un grosso fraintendimento.