DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES di Jaco Van Dormael

poelvDio esiste e vive a Bruxelles ci fa desiderare di aver visto un altro film: quello dedicato esclusivamente al dio iroso, sadico, comico impersonato dall’incontenibile Benoit Poelvoorde. I momenti migliori sono quelli in cui Poelvoorde irrompe sullo schermo, faccia paonazza, sudato, trascurato, curvo sulla sua postazione informatica tra bottiglie vuote e sigarette, in preda al piccolo, meschino piacere che gli deriva dall’infliggere ogni sorta di tragicomiche sofferenze all’umanità. Se dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza, è facile identificarlo con la viltà, le esplosioni di rabbia e le rivalse dell’umanissimo, complessato personaggio creato da Poelvoorde, ed il pubblico infatti è tutto dalla sua parte. L’attore infonde una vitalità furiosa persino ad una scrittura comica usurata (come l’invenzione delle leggi della sfiga, mutuate dal celebre Murphy’s Law), ma soprattutto è un meraviglioso interprete corporale: vederlo sullo schermo è quasi sentirlo in tutto il suo carico di umori e odori – fiato alcolico, traspirazione e tabacco – sbattuti in faccia allo spettatore senza alcuna reticenza, e con una trionfante mimica da cinema muto. Poelvoorde ha un possesso strepitoso dei tempi comici e della propria forza espressiva: si contorce tra smorfie e ghigni, e usa in modo parossistico il corpo come solo i primi comici della storia del cinema sapevano fare.

Jaco Van Dormael avrebbe dovuto sfruttarlo di più in un film che affastella storie, spunti, volti, e si presenta come una storia alternativa dell’esperienza umana, oscillando tra grottesco e scivoloni nel patetico. Il suo film procede per accumulo di idee, alcune brillanti, altre più ovvie e paternalistiche. Nella sua frenesia, il regista belga – che sembra non riuscire a domare il proprio impulso creativo – passa anche in rassegna una serie di memorie cinematografiche eterogenee: dalle leziosità di Amelie agli improbabili portali di Essere John Malkovich, dai gorilla di Oshima (il capitolo interpretato dalla Deneuve, omaggio a Max Mon Amour è il migliore) sino al bambino in abiti femminili di Ma vie en rose, per arrivare al De Sica di Miracolo a Milano. Van Dormael ci prospetta anche l’alternativa di una divinità femminile, più rassicurante ma indubbiamente kitsch e new-age; niente a che vedere con il vitalismo travolgente di Benoit Poelvoorde, l’uomo che amerete odiare.

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