IO SONO INGRID di Stig Björkman

ingridMia madre prendeva il cinema più seriamente della vita”, dichiara Isabella Rossellini in Io sono Ingrid, affastellata biografia dell’attrice svedese. Un motto che stride con il movente del regista Stig Björkman, che invece si dedica ad una messa a fuoco del privato.
Se della Bergman viene tracciata nei minimi dettagli la parabola esistenziale – una vita colma di eventi, meraviglie, viaggi, amori, scelte difficili compiute in nome di una irriducibile libertà – viene però trascurata la sua specifica connotazione d’attrice, l’imprinting di una professione che dilaga all’interno del privato, lo informa e lo determina. Per questo motivo Io sono Ingrid appassionerà il grande pubblico, rivelandosi deludente per i cinefili.

Nelle due ore di documentario, la Bergman appare spesso – attraverso le lettere, o le testimonianze dei familiari – come una donna che anela ad uscire da se stessa e diventare “altro” attraverso la recitazione. I ruoli interpretati le consentono di fuggire da un senso di indefinitezza personale, dai disagi della timidezza, e soprattutto dallo spleen del quotidiano. Un quotidiano che invece viene reiterato da Stig Björkman in ogni aspetto: dai filmini del matrimonio, a quelli di vacanze, momenti di relax in piscina, viaggi, intimità affettiva o cura dei bambini. Filmati, per molti aspetti, banali e comuni a qualsiasi esistenza. Una vastità di materiale biografico che nulla aggiunge ad “Ingrid”, anzi forse sottrae, nel mostrarcela come farebbe un settimanale di cronaca rosa.

Certo, in questo scavo nel privato emergono aspetti interessanti: in primo luogo l’aspirazione ad una libertà totale ed egoista, in piena contraddizione con l’idea di subalternità femminile che trionfava nell’America dei ’40 e ’50 (e che le costerà la condanna non solo dei media, ma anche politica). La Bergman ama, abbandona, diventa madre; poi sfugge, parte, lascia ai figli l’eredità di lunghissime e sofferte assenze, incapace di dedicarsi agli affetti. Il ritratto è quello di una donna dal carattere maschile (Robert Capa, il fotografo viaggiatore di cui si innamora, è troppo simile a lei), inadatta ad una vita pacificata e stabile, e pronta a mutare amori e contesti per divenire le mille personalità che conteneva nell’anima.

In tutto questo racconto, il cinema è il grande assente; o meglio, si concede brevissime apparizioni, diviene sfondo. La carriera svedese, l’arrivo a Hollywood, il rapporto con il celeberrimo produttore Selznick, l’incanto della trasformazione in star e i retroscena dello Studio System vengono quasi completamente a mancare. Poche inquadrature da Intermezzo, una scena da Dr Jekyll, una manciata di secondi di Casablanca, qualche manifesto passato in rassegna (Angoscia). Alfred Hitchcock fa una comparsata, assieme a Cary Grant o Victor Fleming.
La sensazione è quella di tantissimo materiale di repertorio che ci viene negato, per stuzzicarci solo con poche inquadrature allusive. Anche l’Italia diventa una cartolina, e del lavoro con Rossellini ci vengono offerti pochi indizi (che riguardano il “metodo” rosselliniano basato sull’improvvisazione e la sua scelta di attori non professionisti).

L’incontro con Ingmar Bergman, con cui l’attrice gira Sinfonia d’autunno, convince infine il regista Stig Björkman a soffermarsi sul “fare cinema”: le prove estenuanti, gli scontri, il confronto tra le due personalità e due differenti visioni. La chiusa è sul bellissimo primo piano dell’attrice, senza trucco e col viso segnato dal tempo: un close-up su una Bergman finalmente arrendevole, affidata alle mani del grande regista svedese. Ma si lascia la sala insoddisfatti, desiderosi di recuperare l’altra storia che non ci è stata raccontata.
“Le scelte private di un’attrice non dovrebbero riguardare nessuno; la si giudica dalla sua professione, può piacere o non piacere, si può lasciare la sala”, sono le parole pronunciate dalla Bergman riguardo alle sue vicissitudini personali, e ai rimorsi per tutto ciò che non è riuscita a fare. Io sono Ingrid invece ci inchioda al privato, lasciando a margine proprio quel cinema “più serio della vita stessa”.

4 thoughts on “IO SONO INGRID di Stig Björkman

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