CRIMSON PEAK di Guillermo del Toro

crimson-peak2Crimson Peak, magnifico ritorno al gotico da parte di Guillermo del Toro, ha suscitato numerose (sebbene non prevalenti) voci negative all’interno della critica; un coro riprovevole nei confronti della sceneggiatura “debole” cui è affidato il compito di sorreggere il delirio visivo. Questo atteggiamento ricorda l’ostilità di cui fu oggetto, in passato, il nostro maestro dell’horror gotico: Mario Bava. Un parallelismo significativo, che mette in luce le corrispondenze “d’amorosi sensi” tra il regista messicano e il grande artista italiano.
Sin dalle primissime inquadrature, difatti, Crimson Peak si tinge dei rossi e dei blu de La frusta e il corpo, o mette in scena la brutalità evocativa dei paesaggi baviani immersi nelle nebbie. E come molti film di Bava, Crimson Peak è di una bellezza da togliere il fiato: cinema di vertigine.
La macchina da presa si muove sinuosa e circolare, con l’intenzione di disorientare lo spettatore, avvolgerlo in uno spazio tattile, denso. Del Toro è il cineasta contemporaneo del sogno e del romanticismo, stordisce i nostri sensi col colore, la densità stratificata delle inquadrature, la bellezza malata della morte: le farfalle, la polvere e le ragnatele sembrano uscite dalle opere surrealiste di Max Ernst. Una varietà di suggestioni visive ed artistiche si moltiplica nelle immagini, in cui si respira l’onirismo di Cocteau, la follia di Corman, il sublime della Hammer.

Contrariamente alle direttive dell’horror contemporaneo (found-footage e simultaneità), il regista messicano torna al passato, al dolore dei fantasmi, ai castelli malati di perversione, alle mura che urlano d’angoscia. Un ritorno che si fa cinema puro, di straziante bellezza scenografica: il maniero al centro della storia è tra i protagonisti più vivi mai apparsi in questa stagione cinematografica, dotato di un’anima messa a nudo nel suo pianto, nella sofferenza, nelle deformità della colpa e del ricordo.
Del Toro predilige una scarna emblematicità dei personaggi, tanto più riusciti perchè essenziali nell’incarnare un sentimento, e li pone all’interno del classicismo circolare del suo racconto. Una classicismo che molta critica ha liquidato, appunto, come “povertà di trama”: a distanza di decenni, non muta la miopia accademica di tanti recensori, che si limitano ad assensi stiracchiati di fronte ad una genialità troppo grande e sregolata per i loro occhi.
Per Guillermo del Toro la trama è un respiro abbozzato da cui far fiorire lo stupore e l’audacia visiva: è un cinema che vive di spazio, luce e colore, esaltati sino al parossismo per innalzare l’emozione alla sua massima intensità.
Crimson Peak è un film di visioni e sentimenti, cui si perdona qualche compromesso produttivo (una cgi che toglie fascino), e di cui si ammira la libertà d’approccio ai materiali d’ispirazione, da Poe a Baudelaire, da Henry James a Edith Wharton.
Del Toro, come tanti grandi incompresi (non solo Bava, ma anche Fulci, sino a Carpenter) possiede il segreto delle lacrime e del sangue.

2 thoughts on “CRIMSON PEAK di Guillermo del Toro

  1. Film magnifico, visivamente devastante, curatissimo sotto ogni aspetto; personalmente ho solo trovato una piccola difficoltà ad “ingranare” nella prima parte; forse qualche minuto in meno avrebbe giovato, per il resto un’opera davvero impressionante e con un crescendo finale molto emozionante! Da non perdere.

  2. Pingback: LA VEDOVA WINCHESTER di Michael e Peter Spierig | Frammenti di cinema - di Marcella Leonardi

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