UN CORTOMETRAGGIO DI GEORGES FRANJU CONTRO GLI ABBANDONI ESTIVI: MON CHIEN (1955)

Dopo il quieto eppure orrorifico Le sang des Bêtes (1949) Georges Franju gira nel 1955 un altro cortometraggio su uomini e animali. Accompagnato da un testo di Prévert, il regista ci parla della fede dei cani, della loro innocenza al cospetto della crudeltà umana: Mon Chien mette in scena l’invisibile e tragica odissea di un cane abbandonato dai suoi proprietari alla vigilia delle vacanze estive. Poetico e di una tristezza inenarrabile, quasi un thriller dai chiaroscuri profondi ma anche precursore dell’alienazione da nouveau roman, il film si apre con l’abbandono del cane in un bosco, dopo un lungo piano sequenza nel quale il paesaggio appare sempre più ostile.
Respinto brutalmente dagli ipocriti avventori di una chiesa dove aveva cercato rifugio, l’animale viene lasciato solo tra i fiori e il ciglio della strada. Sempre più esausto, lo vediamo vagare tra muti emblemi di civiltà e progresso, fino all’arrivo in una Parigi rumorosa e indifferente. Lì viene catturato dagli operatori di un canile proprio mentre cercava, con fiducia, la protezione umana. Le immagini degli animali dietro le sbarre spezzano il cuore, così come accadeva in Umberto D. (1952) di Vittorio De Sica. Il finale è straziante ma ci risparmia la visione della camera a gas, fermandosi su una gabbia vuota: “non ho voluto vedere quell’atrocità”, disse Franju.

Celebre per titoli come Occhi senza volto (1960) e Judex (1964), Franju esprime nel breve spazio del cortometraggio la sua particolare sensibilità per gli indifesi e gli innocenti (anche in Occhi senza volto troviamo animali imprigionati, con i quali la protagonista condivide un destino di disperazione).
Mon Chien è un film su cui aleggia una coltre oscura che priva le cose della loro luce. I forti contrasti fotografici rendono i paesaggi algidi e astratti, distanti dal martirio dell’animale; e se il cane ci appare come una creatura angelica nella sua sottomissione, gli esseri umani sono freddi e robotici, senza soffio vitale, inespressivi portatori di morte.

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