ANNIENTAMENTO di Alex Garland

annihilation4*****
Annientamento
meritava sicuramente maggiore dolcezza, persino pudore da parte della critica: è stato profondamente incompreso o schernito, quando la sua natura è di struggente umanesimo; si tratta di un’opera volta a riflettere con attenzione rara, quasi una tristezza assorta, sulla vulnerabilità dell’essere umano e sulla sua transitorietà. Il film di Garland si addentra in una notte senza fine: la metamorfosi come destino in un viaggio di tenebra. Tra le infinite possibilità dell’essere vi è quella della mutazione, innescata da agenti esterni/interni: non una morte dunque, ma un divenire che sottolinea l’intima connessione tra l’io e l’altro, tra il sé e il Tutto.

Nella creazione dell’incantamento (l’Area X) che cattura il faro e la regione circostante, la mano di Garland resta sospesa in uno stupore: il “bagliore” venuto dallo spazio è l’estraneo, l’inizio della corruzione delle cose; eppure il regista colora lo schermo di luce madreperla e avvolge la natura di colori fiabeschi. Nei suoi campi lunghi, in cui vediamo le volontarie incedere verso l’ignoto – un’immagine magica che è allo stesso tempo simbolo, evocazione mitica e azione presente – i corpi appaiono alieni, sgraziati rispetto alla delicatezza del colore che si posa sul mondo. Il loro muoversi all’interno dello spazio “infetto” ricorda una passeggiata al contrario nel mondo di Oz, un’immersione in una favola malata, in cui il mondo appare in fiore.

La malattia come bellezza: un concetto che da sempre seduce anche David Lynch, e di cui Annientamento si fa portatore, ribaltando i nostri preconcetti sulla malvagità dell’invasore. L‘estraneo non è mosso da crudeltà, ma si innesta sullo stato delle cose, crescendo, cambiandole in modo incolpevole. La sua azione spesso innesca mutazioni raccapriccianti: il film contiene scene di orrore puro, sfruttando il potere evocativo di voci, suoni, grida, creando fantasmi per poi svelarne l’illusorietà. Nulla è ciò che sembra, nulla è più riconoscibile; e più ci incantano i tramonti d’alabastro, più ne cogliamo il cuore mortale.

Garland ci mostra spiagge su cui crescono alberi diafani, ancor più luccicanti nel paesaggio innaturale. E’ un film fatto di luce e con la luce: diviene essa stessa un personaggio di cui avvertiamo costantemente la malinconia. E’ una luce triste, pensosa, forse affranta per il destino dei personaggi: ma non può far altro che brillare e posarsi come un destino ineluttabile.
Ogni inquadratura contiene al suo interno una morte e una nascita. Garland, abilmente, gioca di contrasti alternando volti e spazio ignoto: il volto della Portman ci è familiare, ma soprattutto ci è familiare il suo dolore, le reazioni di sgomento, lo smarrimento dei grandi occhi scuri. Il regista stringe lo sguardo sul suo viso, affinchè la nostra identificazione con il personaggio di Lena sia totale, emotiva; ma ci mostra anche la fisicità della protagonista, il coraggio di un corpo minuto alle prese con l’indefinito. In fondo Lena è sola sul cuore della terra, trafitta da un raggio di sole; e il suo incontro con l’altro è un confronto tra due solitudini, tra due esseri diversi ma similmente perduti in una condizione di straniamento. Percepiamo la specularità, la comune paura e la necessità di sopravvivere. Annientamento è una lirica visiva, l’ultimo baluginio prima del crepuscolo.

2 thoughts on “ANNIENTAMENTO di Alex Garland

  1. Okay, anche questa volta Marcella lei mi ha preso in contropiede. E’ vero che sono un contando che vive al di fuori del mondo mentre leè è calata interamente nel crogiolo della creatività e ai suoi sensi tutti (attenti vigili e affamati) e alla sua sensibilità umana e artistica nulla sfugge divenendo per me una sorta di “faro” non alieno nel crepuscolo della campagna dove si spia l’apertura dei boccioli. Le sue recensioni sono ossigeno e stimoli a non mollare. Mi piace molto la “malattia” alla quale dà attenzione anche Lynch e, per quanto non c’entri niente, ci ritrovo i miei tentativi di abbozzare (sostenuto da Artaud) un filrouge tra il suicidio di Van Gogh, Majakovskij e Pavese (curiosamente l’addio di Pavese pesca con l’invito a “non fare pettegolezzi” dalla bellissima lettera di Vladimir) e quindi, farò di tutto per mettere le mani e gli occhi su questo film di Garland, oltretutto la Portman mi piace assai. Stia in casa e faccia riabilitazione al piede, senza forzare. Good Luck

    Il 04/04/20, Frammenti di cinema – di Marcella

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...