*****
Uno dei film più potenti degli ultimi anni; un’opera che risuona con forza nel presente, mettendo in scena la Storia e la sua lunga ombra sul contemporaneo; ma anche un teorema di giustizia, un desiderio di altezza verso una società ideale in cui un disegno universale di verità possa affrancare l’umanità dalla caduta. E’ un film bellissimo, L’ufficiale e la spia: Polanski allestisce con lucidità cristallina un episodio capitale di storia francese universalizzandolo con lo stile, con la sua altissima regia che crea risonanze, ponti tra le epoche, disseminando il racconto di suggestioni, trasalimenti, chiavi di lettura applicabili al presente. Ci vuole un artista magistrale per trasformare il passato in eternità: e Polanski, con una macchina da presa che esplora il Tempo estraendone un percorso, un eterno ritorno, senza mai diventare piatta didascalia ma affrescando – come i più grandi pittori – il ritratto di un periodo e di uomini che ne hanno scritto il buio e la gloria, induce a ripensare alla vita, al nostro contesto storico e alla morale individuale che ci guida.
E’ un film profondamente romantico, L’ufficiale e la spia: ci ricorda, foscolianamente, che “a egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”, ma è anche un film profondamente contemporaneo per l’asciuttezza con cui risolve le sorti dei protagonisti: non vi è una sbavatura sentimentale, ma solo la luce di cui il regista illumina il suo Picquart, Jean Dujardin, creatura imperfetta ma sorretta dalla verità.
Polanski è un regista di spazi – lo spazio della minaccia, delle ampie stanze del potere, degli stretti cunicoli delle prigioni e lo spazio selvaggio dell’Isola del diavolo, su cui viene isolato Dreyfus – ma è anche un regista di volti, sensibilissimo nella direzione degli attori: se Dujardin è il corpo su cui scrivere l’Ideale tra le pieghe di una vulnerabilità mai celata, Garrel è l’innocenza/resistenza dura e sgradevole, la ferita che sanguina ma su cui non viene mai meno l’amore per la patria.
L’ambiguità è la parola chiave di quest’opera che emerge forte di chiaroscuri, di animi mai afferrabili, di contraddizioni poetiche o filosofiche di cui si compone l’esperienza umana. Lo spettro dell’irrazionale cala su un popolo animoso, acceso dall’antisemitismo: Polanski ne contiene la furia all’interno di perfette inquadrature, contenendo lo stridore di impulsi ed emozioni dentro “stanze” stilistiche di compiuta armonia; allo stesso tempo si abissa nell’onirismo di sequenze terribili, in cui la punizione (di Dreyfus) assume le forme di un inferno dantesco.
La città, animata di uomini, militari, prostitute e vita quotidiana all’ombra di cafè e mercati, ha un suo odore di sterco di cavalli, fogne, pioggia. Ad ogni elemento di luce e razionalità Polanski contrappone il basso, l’impulso, l’assenza di morale. Su L’Aurore campeggia, forte e immortale, il J’accuse di Zola; una società conosce la decadenza, la morte e la rivoluzione. Polanski crea la sua tela: come Renoir, Tolouse-Lautrec o Manet.
Pingback: L’UFFICIALE E LA SPIA di Roman Polanski — Frammenti di cinema – di Marcella Leonardi | l'eta' della innocenza
Amo Polanski e questa recensione. Quando torno dal “ritiro materiale” esplico meglio il mio pensiero cmq GRANDISSIMO FILM, BRA-VA Marcella
Il 16/12/19, Frammenti di cinema – di Marcella
Grazie mille
D’accordo su tutta la linea. A mio avviso, il miglior film del 2019!
Grazie. Un gioiello davvero.
Ho amato molto questo film e dopo questa recensione ancora di più.
Grazie Marcella!
Polanski è grandioso a “creare le sue tele” e sono molto vivide le “ombre gettate sul contemporaneo”. Infatti fu proprio in seguito all’Affaire Dreyfus che nacque il sionismo e gli ebrei sentirono la necessità di avere uno Stato tutto loro.
Grazie, Monica!