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Sin dalla scena d’apertura James Gray ci pone sull’orlo dell’abisso e fa vacillare la nostra sicurezza di spettatori, spalancando vertigini: il regista stabilisce subito lo specifico di Ad Astra, ovvero un senso spaziale che accelera e ingigantisce la solitudine. E’ l’inizio, disorientante, di un movimento che metterà il protagonista McBride/Pitt a confronto non solo con l’inconoscibilità dell’universo, ma anche dell’altro e della vita stessa.
Si possono facilmente identificare delle ascendenze visive e filosofiche guardando il film di Gray: da 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, a Solaris di Tarkovskij, da L’ignoto spazio profondo di Herzog al più recente High Life di Claire Denis, ma non si può ridurre l’opera a summa di citazioni, spolvero di linguaggi o variazione di repertori codificati. Ad Astra possiede infatti una commovente bellezza originale: Gray non teme di contaminare i generi, sovrapporre influenze (non solo cinematografiche, ma anche rubate alle altre arti), creare un immaginario in cui passato e presente scolorino l’uno nell’altro. E’ un regista audace, teso alla trasfigurazione delle sue memorie di cinema in una visione complessa e nuova.
Ad Astra è il film di un autore del ‘900, figlio del “flusso di coscienza” narrativo (tradotto in immagine da un Pitt significativamente in primo piano, in balia di una soggettività che si esprime in voce off); ma è anche l’opera di un regista che guarda a un oltre, un futuro, e osserva la soggettività del suo protagonista – totalmente immerso nel suo sguardo interiore – mettendola a confronto con un occhio più “ampio”. McBride, ripreso in campi lunghi o panoramiche, è alla ricerca di un’identità, di un passato in cui ritrovare il senso del presente. Egli appartiene allo spazio, di cui non è mai corpo estraneo: nel buio, tra le stelle, “viaggia”, attraversa budelli e cunicoli in una nascita ripetuta, in una incessante venuta al mondo. È il movimento di un eroe (stanco, provato), nella riproposizione un Mito perenne.
Ed è questa la bellezza del film di Gray: il suo classicismo dichiarato, ma pervaso da uno sfrenato desiderio di creazione. In un processo di smaterializzazione dell’immagine conosciuta e familiare, Ad Astra si dichiara più sovversivo di quanto si possa immaginare: Gray allestisce un far west lunare, in paesaggi fordiani ridotti a un grigio metallico, futuristico; ricrea corse alla Mad Max, ma in cui l’azione appare incorporea, priva di peso; e riesuma il gusto fantascientifico dei B-movies, con spazi avanguardistici e colori baviani. Ad Astra fluisce innescando continuo stupore: la sua fantasia di Marte, ultima stazione sicura, assomiglia a un inferno di esistenzialismo sartriano, rosso e teatrale: lì McBride è costretto a una strana “audizione”, in cui egli recita/si confessa di fronte a “giudici” separati da un vetro.
Infine, l’arrivo a Nettuno coincide col vuoto, in un movimento fisico e psichico di affioramento dell’inconscio, una messa in scena della morte: un “viaggio di sola andata” alla ricerca di un dio/padre dall’impenetrabilità dolorosa e terribile.
Pitt è l’interprete ideale, capace di incarnare un Eroe eterno e presente, mosso da una spinta universale e atemporale ma anche straziato da inquietudini contemporanee. La sua incertezza si proietta sull’assenza di gravità; così come lo spazio infinito, la meraviglia dei pianeti, la violenza dei detriti e la luce delle stelle sono il paesaggio della sua anima, nell’incanto e smarrimento dell’esistenza.
Parafrasando (se mi è permesso) “… l’infinoto si era infilato nella mia solitudine e non era più andato via…” Come si usava dire a scuola “colpito e affondato”. Lo andrò a vedere per quello che è e che promette, per come viene rappresentato in questa asciutta ma fulminante recensione complice del viaggio, infine (ma è la parte più personale, quindi meno significante) per una struggente nostalgia di “Anomalia” film che una morte improvvisa ha impedito di realizzare pur con tutte le sue indecisioni e smagliature. Grazie
Il 28/09/19, Frammenti di cinema – di Marcella
Grazie a te, sempre 🙂
Lo vado a vedere martedì in inglese!
Fortunato! Qui da me ancora nessuna proiezione in lingua.
E non m’è piaciuto per niente! — felice che tu ci abbia visto così tanto!