CAM di Daniel Goldhaber e Isa Mazzei

camblog****
Più di venti anni fa il grandissimo e compianto Satoshi Kon, con il suo occhio in grado di cogliere con grande anticipo i mutamenti socio-culturali e trasferirli in animazioni di straripante e deviata fantasia, raccontava in Perfect Blue (1997) la schizofrenia identitaria innescata dalla dimensione parallela della rete internet. Cam raccoglie la sua eredità – forse inconsapevolmente, ma è legittimo pensare che gli autori abbiano visto il capolavoro di Kon anche per la particolare atmosfera giocosa e “kawaii” del film. La protagonista, Alice (una straordinaria Madeline Brewer, celebre per la serie Handmaid’s Tale in cui ruba letteralmente la scena) è l’equivalente della “Tokyo Idol” protagonista di Perfect Blue; la sua traiettoria è la stessa, ma contestualizzata al territorio pericoloso e psicologicamente devastante delle camgirls, le lavoratrici del sesso online.

Il regista Daniel Goldhaber racconta, con un linguaggio potente e sintetico, l’odissea di Alice (il cui pseudonicmo è Lola_Lola, come L’Angelo Azzurro di Sternberg) attraverso la “forma” in cui la ragazza è rinchiusa, ovvero lo schermo del computer; Goldhaber apre il film inquadrando la finestra video dalla quale la ragazza si esibisce, con tutto l’apparato strutturale annesso: scorrimento di commenti, messaggi in pop-up, frames in cui le girls vengono ordinate secondo una graduatoria di popolarità in costante mutazione. Un vero inferno di informazioni intermittenti, che Lola monitora con attenzione ossessiva.
Sorridente e disponibile con gli esigenti visitatori della “room”, la ragazza allestisce ogni giorno uno spettacolo differente, offrendosi in una moltitudine di versioni del proprio sé. La sceneggiatrice di Cam, Isa Mazzei, ha esorcizzato i demoni del proprio passato di camgirl ideando le 99 “stanze” del film e fissando nella scrittura le fissazioni, le manie, la violenza dei commentatori; ma soprattutto ha brillantemente sublimato nell’horror le alterazioni, al limite della schizofrenia, della psicologia delle camgirls, la cui identità viene letteralmente fagocitata dalla rete internet al punto da non poterne più reclamare il possesso.

Daniel Goldhaber asseconda con grande complicità il feroce umorismo della Mazzei, mettendo in scena il delirio narcisistico e sadomasochistico di Cam attraverso un trionfo di finzioni, ruoli, maschere, spazi reinventati e brillanti di luce al neon.
Meglio di Searching, meglio di Unfriended, il film si serve degli stessi linguaggi al centro del racconto: le immagini si confondono, ma Goldhaber è bravissimo a far deflagrare il visibile, svelare gli inganni percettivi e di senso, ruotare la mdp per liberare il nostro sguardo dai confini imposti dal computer. Il film gioca sempre tra due livelli di realtà, li sovrappone, li fa scontrare (come nel momento in cui la madre di Alice scopre il suo alter ego pornografico). Tra le due identità di Alice/Lola il divario si apre in modo ineluttabile in un coup de théâtre che regge il film, ne determina l’estetica e le derivazioni semantiche.

Ma intanto Cam non smette di intrattenere: Goldhaber colora le sue ragazze di rosa, glitter, le circonda di peluches, le dota di personalità virtuali effimere e candide; schiude un mondo di colori pastello, regressioni infantili, pulsioni sessuali primitive rivestite di zucchero filato. La sua analisi delle derive psicanalitiche indotte dalle “rooms” online è affilata, terribile, sino alla “messa in abisso” in cui cade la protagonista. Eppure non smettiamo di tifare per lei, farci sedurre dalla tentazione di un universo separato e senza pensieri, in cui il nostro io pulsionale può liberarsi e degenerare. Una finzione scintillante e ammantata di polvere di stelle, in cui si cela un baratro di alienazione e solitudini. Notevolissima la colonna sonora, che punteggia di synth pop caramellato il mondo di Lola.

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  1. Pingback: CAM: perdere se stesse, tra horror e tecnologia. La sceneggiatura di Isa Mazzei | Frammenti di cinema - di Marcella Leonardi

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