FURY di David Ayer

furyFury potrebbe fungere da testo esemplare per una fenomenologia di Brad Pitt: l’attore Pitt permea di sè ogni film che interpreta, tanto da trasformarlo in contesto e cono d’ombra. Se, nella Hollywood classica, divi quali Cary Grant o James Stewart erano capaci di “farsi” personaggio nonostante il proprio status iconico, nel caso di Brad Pitt l’immagine-feticcio è divorante: è il personaggio a divenire Pitt, il suo perfetto taglio di capelli, i pettorali nudi, la mascella contratta ed eroica. La perfezione bianca e americana.
In Fury questo aspetto diventa particolarmente evidente. Il film di Ayer infatti è una perfetto congegno che produce, non senza raffinatezza, un ideale retorico-nazionalista di cui Pitt è l’emblema. Esaltazione dell’eroe, durezza, sacrificio, umanità controllata per il bene della collettività: Pitt veicola emozioni comuni ed elementari semplicemente in immagine; il film è completamente assorto nell’esaltazione del suo non-personaggio, pura auto-rappresentazione americana.
Ayer ha grandi doti registiche e talora il film tocca vertici di grande spiritualità ed astrazione: dai carrelli sui corpi schiacciati, alle soggettive dentro l’inferno, ai campi lunghi che sono quasi illusioni di salvezza. Le scene di conflitto hanno un’apparenza ultraterrena, immerse in scenari devastati e nebbiosi la cui monotonia è espressione di una dimensione separata di disperazione umana. I momenti più alti sono le apparizioni del tank Fury come entità quasi dotata di vita propria, inquietante e dominante come il camion orrorifico del Duel spielberghiano. L’attenzione all’aspetto sonoro del film lo rende quasi un oggetto sperimentale. Ma le musiche, pura enfasi, smascherano ancor più dei dialoghi stereotipati, dello sviluppo virile e cameratesco dei rapporti tra i personaggi, la ruffianeria dell’operazione. Un action di classe, ma il tormento asciutto e antieroico di Eastwood è lontano, e così l’orrore ed il dubbio del war movie classico cui Fury sembra in parte ispirarsi: dal Wilder di Stalag 17 al Kubrick di Orizzonti di gloria.

8 thoughts on “FURY di David Ayer

    • Nominando il noir anni 40 mi hai mandato in estasi: li adoro anch’io. I miei preferiti sono:

      Dietro la porta chiusa
      Gilda
      La donna del ritratto
      La scala a chiocciola
      La signora di Shanghai
      Lo specchio scuro
      Lo straniero (quello di Orson Welles)

      Un altro film che riprende il genere è il recentissimo Gangster Squad: se non l’hai già visto, te lo consiglio vivamente. Così come ti raccomando ad occhi chiusi quest’altro film, anche se è di tutt’altro genere: https://wwayne.wordpress.com/2014/10/22/poveri-ma-felici/.
      Adesso che ho trovato un’altra fan del noir anni 40, il follow è d’obbligo. Grazie per la risposta! 🙂

  1. Ottima selezione! Siodmak e Lang forever… 😉
    Io praticamente vivo della Hollywood classica; 20, 30, 40, 50, ma anche i magnifici 70
    Adoro anche il gangster movie, quello di Hawks o Wellman, e sono un’appassionata di commedie, Lubitsch e Wilder su tutti

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