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In una realtà in cui la cinefilia è di massa, distratta, nutrita di schematismi e semplificazioni, e in cui la conoscenza di un autore avviene spesso attraverso rapide visioni di scene isolate su youtube, quello di Hazanavicius è il Godard corrispondente: un monumento popolare ai luoghi comuni della sua avanguardia, così come alle idiosincrasie, alle grottesche utopie, al suo idealismo narcisista e nutrito di intima fragilità.
Hazanavicius ruba a Godard il linguaggio, ma lo banalizza, lo rende accessibile come una serie di “slides” da corso di storia del cinema. Ci sono le sequenze in bianco e nero, i jump cuts, la suddivisione in capitoli, i colori iperrealisti, i primissimi piani sul corpo; c’è un gioco costante nell’alternare i piani narrativi e gli stili, si ammicca allo spettatore con allusioni che “rompono la quarta parete” con effetto comico. Non mancano le contaminazioni, come le scoperte citazioni di alcune gag di “Annie Hall” di Woody Allen, modelli collaudati in cui condensare la bizzaria del rapporto amoroso tra Godard e Anne Wiazemsky.
Hazanavicius si rivela ancora una volta un abile volgarizzatore, un regista in grado di dar lustro allo stereotipo fino a conferirgli una parvenza di dignità artistica. E’ chiaro che il linguaggio adottato da Le Redoutable è una “nouvelle vague” da operazione divulgativa, perfettamente superficiale: sotto tanti aspetti, è quel “cinema morto” contro cui si scaglia Godard/Garrel, fatto di compromessi, alieno da rivoluzioni, compiacente verso un pubblico borghese ed educato.
Eppure Hazanavicius non è solo “leggero”: è anche intelligente e preparato. Molte battute sono brillantemente metacinematografiche, consapevoli dell’operazione messa in atto. Hazanavicius mette a disposizione “il suo Godard” ad un pubblico che si vorrebbe ampio, limando gli eccessi per mezzo dell’ironia: ma il suo film è anche un manifesto, una riflessione – attraverso la figura dell’eccentrico autore francese – sullo stato del cinema oggi, sulla vacuità delle scuole, sulla staticità funebre di un cinema immobile, accomodante, privo di reale ispirazione.
“Gli studenti sono giovani e quindi hanno ragione anche quando hanno torto, poiché parlano col cuore”, dichiara un autolesionista, colpevole Godard dopo essere stato umiliato durante un’assemblea studentesca. Hazanavicius ci parla di passione artistica e politica; di una realtà che appare profondamente lontana da un presente in cui il cinema è un involucro – paradossalmente, proprio come il suo Le Redoutable.
Bravissimo Louis Garrel, impegnato in una mimesi sorprendente che sembra abbracciare lo spirito e il corpo, tanto da consegnarci un personaggio integro anche attraverso il filtro scarno, da teatro dell’assurdo, adottato dal film. Stacy Martin, silenziosa e assorta, è l’icona perfetta, la musa ribelle con l’incontestabile fuoco della giovinezza.