La voce fuori campo di Assolo è una figura retorica: non solo un espediente narrativo, ma anche una simbolica “parte per il tutto”. Esattamente come l’onnipresente voce fuori campo esplora capillarmente (fino al logorio) movimenti e pensieri della protagonista, tutto il film parla solo ed esclusivamente di Flavia. E ci si sorprende di quanto un personaggio descritto come insicuro/infantile, privo di autonomia, incapace di esercitare un possesso consapevole del proprio corpo, sappia raccontarsi in forme tanto razionali e pseudo-analitiche. Per quanto la Morante voglia farci credere il contrario, Flavia sa parlare fin troppo bene di se stessa.
Ma Flavia non è la versione femminile dello Zeno di Italo Svevo; anche se l’idea è quella di ripercorrere con la memoria le tappe fondamentali della propria inettitudine, la Morante conduce la sua commedia completamente in superficie. La psicoanalisi è sfruttata come opportunità umoristica e mai come riflessione reale: il susseguirsi degli eventi, così come i personaggi collaterali, esistono in quanto strumentali alla psiche e alle paure di Flavia – e di conseguenza finalizzati all’effetto comico che la regista vorrebbe ottenere.
Cercando di emulare un certo surrealismo ormai frequente nel cinema europeo (una sorta di alibi artistico per molti film mediocri), la Morante insegue l’onirismo e la boutade fantastica; incapace di trovare uno stile coerente, alterna il sogno, la piccola cronaca, momenti di vaudeville e bozzetto patetico. Un castello inconsistente che vede Flavia come protagonista incontrastata, colei che tutto sommato tiene insieme l’improbabile famiglia allargata, una donna talmente speciale da ottenere persino un rapporto privilegiato e compiacente da parte della sua analista.
Assolo è un film passivo/aggressivo: si propone garbato e in punta di piedi, ma finisce con l’imporre una visione obbligatoriamente “tenera” ed acritica di un personaggio che soffoca lo schermo.
Se si cerca un ritratto di cinquantenne che sia intenso e vero – e profondamente commovente – non resta che tornare alla Margherita di Mia madre.