AMY – THE GIRL BEHIND THE NAME di Asif Kapadia

amyw“Non è più l’oscenità di ciò che è nascosto, rimosso, oscuro, è quella del visibile, del troppo visibile, del più visibile del visibile, è l’oscenità di ciò che non ha più segreto, di ciò che è interamente solubile nell’informazione e nella comunicazione”. Questa estratto da “L’altro visto da sè”, di Jean Baudrillard (1987) esaurisce in poche righe tutto ciò di cui tratta Amy – The girl behind the name. Il documentario di Asif Kapadia, confezionato e marketizzato come un sensibile ritratto volto a rivelarci la verità su Amy, altro non è che un documento osceno: osceno nel suo elidere qualsiasi confine tra pubblico e privato, e per il modo in cui si appropria di materiale personale, intimo, segreto. In quanto spettatrice ho provato un forte disagio: ho avuto accesso alla sua casa, alla camera da letto, agli abiti sdruciti e alle scarpe rotte; ho visto il suo diario, la sua scrittura infantile e ornata di cuori – come quella di qualsiasi ragazza colma di speranze. E gli occhi si sono riempiti di video familiari, dall’infanzia agli strazi dell’amore e delle dipendenze.
Vedere Amy – The girl behind the name è assistere alla morte, come un voyeur pagante che guarda, puntata dopo puntata, un serial sulla dissoluzione di un essere umano, tanto più doloroso perchè Amy Winehouse era un’artista vera, un talento formidabile che limava le parole (l’uso dolce e melodico delle rime nasceva da ore di prove e riscritture delle liriche) e appagava tutto il suo essere nella musica, finchè le sue fragilità non hanno preso il sopravvento.

Un film che è puro sciacallaggio, non dissimile da quello operato dai media dell’epoca (e dalle persone che circondavano la Winehouse). Tralasciando l’orrore di molte immagini (il corpo emaciato, lo sguardo smarrito nel vuoto, gli autoscatti nella casa di Camden, la simbiosi distruttiva col marito Blake), si prova dolore semplicemente nel sentire la voce fuori campo di Amy ancora giovanissima, alle soglie della celebrità, arrabbiata per un arrangiamento fatto a sua insaputa: “Odio il tizio che lo ha fatto, io non avrei mai messo gli archi in quel pezzo”. Cosa avrebbe mai detto di questo documentario che fa a pezzi la sua vita, se ne appropria, la rimonta arbitrariamente accompagnandola a testi in sovrimpressione (rubati dal diario) e confessioni fuori campo (destinate ad amici e familiari)?
In molte scene vediamo Amy scheletrica; in un momento particolarmente scioccante, lei chiede pace e isolamento, ma il padre le ricorda, severo, gli obblighi verso i fan e la obbliga impietoso a farsi fotografare. A quel corpo che supplicava solitudine, questo film toglie completamente la voce: Amy sparisce come essere umano, privata di ogni diritto, sfruttata e moltiplicata per milioni di spettatori: il suo dolore, la devastazione fisica, gli scatti e video più segreti sono disponibili in modalità play, rewind, fermo immagine, zoom.
Non c’è nessuna girl behind the name. Non c’è più nessuno dietro al brand.

13 thoughts on “AMY – THE GIRL BEHIND THE NAME di Asif Kapadia

  1. Cos’è osceno? e’ oscena la foto di un bambino che muore in mare per fuggire dal suo paese in guerra? non lo so, non credo; so che mi fa vomitare un premier che la sventola arringando la folla e gridando “noi siamo quelli buoni e gli altri sono bestie”…
    forse ho divagato, ma onestamente non ho trovato molto di osceno nel documentario di Asif Kapadia e in ogni caso preferisco uscire dalla questione anche perchè i processi per oscenità mi rievocano i momenti peggiori della storia umana che si sa come iniziano e mai come finiscono (in genere male o malissimo).
    Torno al documentario in questione e dichiaro serenamente che non mi sono sentito come un voyeur di fronte a un’operazione di sciacallaggio, ma semplicemente come qualcuno che voleva provare a capire qualcosa di più della persona Amy e non fermarsi al personaggio mascherato dal trucco, congelato nelle pose e ammaestrato dal circo intorno a lei. Per fare questo è necessario scavare senza fermarsi alle centinaia di video e interviste presenti su you tube ed è quello che ha fatto il regista, il quale ha evitato accuratamente i gossip, i tradimenti per cercare di comporre il ritratto, complesso e talvolta scomodo, di un’ artista dal talento direttamente proporzionale ai suoi problemi esistenziali; e allora è giusto attraversare lo specchio e tirar fuori i problemi famigliari, la bulimia, la coca, i suoi collaboratori, gli amici e tutto il resto. Trovo illuminanti anche piccoli dettagli che emergono da questo lavoro: Amy, apparentemente ripulita, vince il Grammy e tutti, compresa lei, festeggiano; un amica confessa che in privato Amy le disse :”senza cocaina anche questo non è divertente”. Kapadia poteva ometterlo? sicuramente e poteva costruire il santino dell’artista sfruttata da tutti e vittima del mondo. Non era così…

  2. Più che ricomporre il ritratto, le ha rubato il diario, le foto, i video personali (e che avrebbero dovuto restare tali). Puro gossip. Tutto quello che c’è da sapere su “The girl behind the name” è nella sua musica e nei testi delle canzoni. Nella musica Amy si è già messa a nudo, con tutta l’onestà possibile.

    • perchè entrare in una sala che annuncia di svelare lati oscuri di un’artista se “Tutto quello che c’è da sapere su “The girl behind the name” è nella sua musica e nei testi delle canzoni.”? Forse perchè chi si erge a censore di oscenità ha un po’ di quel voyeurismo che condanna (solo negli occhi degli altri, ovviamente)?
      più in generale chi fa documentari non può transigere di attingere a documenti editi o inediti che poi filtrerà a seconda della sua sensibilità (o anche per costruire tesi precostituite, cosa che qui non avviene); i documenti possono essere analisi del sangue o diari di infanzia (rubati o non rubati, non lo so, non faccio il giudice)

  3. Si può entrare in sala esattamente per sapere che tipo di trattamento ha ricevuto un artista che ci sta a cuore. Non ho appreso nulla di più che non sapessi, ho semplicemente constatato che l’atteggiamento puramente esploitativo che la Winehouse ha subìto negli anni peggiori della sua vita non cessa nemmeno con la sua morte. Con l’alibi del “documentario” mi sembra si avalli un’operazione triste e, ripeto, oscena. L’oscenità è proprio mostrare immagini che la cantante MAI avrebbe voluto mostrare, e probabilmente mai montate in questa sequenza. Ormai la sua stessa storia non le appartiene nemmeno più.

  4. la winehouse ha ricevuto il trattamento che TUTTI i personaggi pubblici (ricchi e famosi e che firmano consapevoli contratti con le major e altre 100 cose che anche lei hai deliberatamente scelto di fare) ricevono; non tutti si ammazzano per questo.
    sul fatto che lei non volesse che si mostrasse questo o quello non mi esprimo, non l’ho conosciuta così bene da poterlo sostenere e non mi arrogo il diritto di interpretare il suo pensiero.
    comunque riassumendo: non si possono fare documentari sui morti perchè costoro non li potrebbero mai ratificare…vabbè, ho appena rivalutato il regime coreano che a questo punto è un esempio di progressismo in quanto a libertà di espressione

  5. eh no se il punto di partenza è: non si possono usare materiali senza il consenso del soggetto allora c’è un pregiudizio che affossa qualsiasi operazione simile ad amy (e quindi vale per il film su cobain su janis joplin e su chiunque altro…tutti film orrendi (anche senza vederli) perchè il soggetto non ha dato l’ok…bah

  6. La questione non è il “si può o non si può”. Immagino che legalmente sia possibile, ma non c’è cuore in questa ricostruzione, e trovo tradisca lo spirito della cantante. Al regista non importa nulla, se non realizzare un prodotto ad effetto. Estrapolare una frase (“senza coca non è divertente”) è stupido e sensazionalistico, perchè si ritaglia una frase dalla realtà di una donna ormai caduta nella dipendenza. Da giovane Amy parlava in modo ben diverso. In ogni caso ho trovato molti video integrali (gli stessi che sono stati utilizzati, a pezzi, dal regista); molto più interessanti del film, così come più interessanti sono molti video dei fan, realizzati con materiale d’archivio trovato in rete, e che dimostrano più rispetto e amore per la cantante. E’ chiaro che nessuno vuole realizzare un santino di Amy: lei era la prima a dire “I AM NO GOOD”, ma lucrare sulle sue miserie fa abbastanza schifo.

  7. Della legge mi importa poco, mi preoccupo invece quando qualcuno (che sia un politico censore, un prete moralista o un critico benpensante) alza la voce lasciando intendere che certe cose sono contro la morale, non andrebbero viste (buttandosi però in sala alla premiere…) e così via.
    Tornando al film e alla frase incriminata, quella arriva in un momento in cui lei sembra completamente riabilitata e parrebbe festeggiare la vittoria del Grammy (fingendo pure emozione nella diretta tv, hai capito la “Vera Amy”…), ma quella frase ci svela tutto ciò che sta dietro la superficie…che poi effettivamente festeggiare per aver vinto un premio in cui fra i candidati c’era Umbrella di Rihanna..vabbè, questo è un altro discorso. I discorsi di Amy da giovane non li conosco (ho i miei limiti e non ne parlo come se fosse stata la mia compagna di banco), però da adolescente invece della coca si ingurgitava quintali di cibo che poi vomitava e tutta questa “tranquillità” non risulta e fortuna che c’è chi ce la racconta questa verità, seppur un po scomoda…
    Ritornando al film, ognuno è libero di pensare quel che vuole e anche che siano più onesti i selfie dei fan con la Winehouse al fianco; più onesti non lo so, sicuramente più rassicuranti…

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