
Nella “bottega da rigattiere del mio cuore” (mi piace tanto questa definizione di Yeats) c’è un film che continua ad affacciarsi ed è diventato già ricordo affettivo, immagine d’amore. Si tratta di Straume (Flow), il “mio” film dell’anno. L’animazione è il cinema delle forme possibili, e Flow è un movimento musicale, una corrente viva e dolorosa. Tra resti di civiltà umane remote e acqua che invade la terra, sopravvive un piccolo consorzio di animali. La loro umiltà mi commuove e mi incanta: nessun lamento, nessuna filosofia, solo il vagabondare tra paura e bellezza. Il piccolo corpo svelto di un gattino è origine di meraviglia e avventura. L’animazione digitale restituisce un mondo di pienezza sensoriale, di specchi d’acqua, di profondità e ombre. E mi piace l’idea di un futuro senza l’essere umano e le sue crudeltà.


la cosa interessante è che queste civiltà remote in verità non lo sono affatto: il legno intagliato è in perfette condizioni, vuol dire che gli umani sono spariti da poco! e poi la barca sull’albero a inizio film è il vero colpo di classe
Quello che dici è vero. Fa parte del fascino enigmatico del film…