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Non avendo che una conoscenza parziale del manga Battle Angel Alita (GUNMM) di Yukito Kishiro (una lacuna che conto di colmare), non mi è possibile mettere in rapporto l’opera d’origine con il film diretto da Rodriguez e prodotto da James Cameron. Ma un’analisi del film nella sua nudità ed indipendenza artistica mi induce purtroppo ad un giudizio di mediocrità. L’Alita ideata da Cameron è una figura spuria, sperduta in un universo privo di identità e coerenza interna.
A differenza del Ready Player One di Spielberg, film che rivendica una specificità autoriale “forte”, Alita – Angelo della Battaglia ambisce a costruire una propria essenza mitologica partendo da una giustapposizione di elementi eterogenei, uniti dal collante di una sofisticata tecnologia. Ma se il cuore del personaggio-Alita è un nucleo potente e immortale, che la ragazza, in un gesto eloquente, estrae dal petto per donarlo all’amato, il centro pulsante del film è debole ed incapace di tenere in vita la somma delle sue parti; anzi, ad Alita manca del tutto un demone interiore, la spinta propulsiva capace di schiudere un genere – il fantastico – che si nutre di un proprio epos.
Il fallimento di Alita si esplicita su un doppio livello: quello dell’immaginario, di cui il film è completamente privo, non riucendo a creare un mondo specifico dotato di regole e una propria antropologia culturale; e, di conseguenza, quello estetico: Alita non possiede uno stile riconoscibile proprio perchè non vi è sottesa una visione ideale e fantastica di cui il tratto stilistico si fa espressione. Si pensi, di contro, alla caratterizzazione di Pandora in Avatar e all’aspetto dei Na’vi: la loro azzurrata bellezza, l’esplosione di armonie naturali del pianeta erano il correlativo formale del mito messo in scena da Cameron.
I personaggi di Alita, le loro azioni, non corrispondono ad alcuna funzione profonda nell’ambito della struttura della fabula. Rapporti vengono allacciati in modo arbitrario; gli antagonisti hanno motivazioni deboli e confuse; l’eroina non vive un percorso esperienziale nella sua interezza ma la vediamo operare in un insieme di sequenze d’azione superficiali. Certo, la cura tecnologica della CGI è radicale: l’azione viene messa in scena stereoscopicamente attraverso scene estremamente rapide, fluide, piani-sequenza d’animazione vertiginosa, volti a creare una profondità pluridimensionale. Ma persino un film come il romantico Upside Down di Juan Solanas, che con Alita condivide l’idea di una separazione spaziale e sociale in alto/basso, aveva affrontato il concept visivo con un senso artistico ben più personale.
Rodriguez dirige in modo insolitamente anonimo e si riserva solo una scena in cui esprimere l’ironia metacinematografica che è il suo segno distintivo (la gustosissima scazzottata “western” nel bar). Alita procede per luoghi comuni e stereotipizzazioni, confidando su un’elezione digitale che da sola non basta a distrarre dalla povertà della leggenda.
Dai vari trailer mi sembra che il film sia null’altro che una fotocopia sbiadita, anche se luccicante, del geniale manga. Purtroppo da moltissimi anni Cameron pensa solo agli effetti speciali e si è perso per strada la genialità che invece lo contraddistingueva quando non aveva neanche i soldi per farsi un caffè sul set. Mai dare soldi ai geni, diventano mediocri.
Alita nasce in un’epoca in cui, almeno nella fantascienza, d’un tratto il corpo umano ha perso del tutto ogni sacralità, per cui ci si scambiano pezzi e l’unica parte ritenuta identitaria è il cervello, infatti l’unica parte “vera” di Alita. E’ l’epoca dei cyborg (umani a cui vengono sostituite parti del corpo con elementi artificiali), è l’epoca dei dottori che, rifacendosi allo Scultore di Carne Umana degli anni Venti, ricostruiscono le persone con corpi potenziati. Fare oggi Alita non ha senso: viviamo in un’epoca dove il corpo è venerato come un dio, sebbene non abbia più nulla di naturale. Gli interventi di chirurgia estetica di oggi sono identici a quelli di robotica dei tempi di Alita, ma cambia la filosofia di base: oggi il corpo è un culto finto che tutti venerano, Alita invece è la totale ed abissale negazione di qualsiasi importanza del corpo.
I fumetti te li consiglio caldamente. Io odio i manga ma Alita mi ha rapito il cuore ^_^
Grazie del tuo bell’intervento. Il manga infatti mi attrae molto, lo leggerò. Nel film la problematica relativa al corpo è trattata in modo molto superficiale; sono certa che vi sia un profondo divario tra la filosofia del manga e la natura prettamente da blockbuster spensierato del film.
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