“Quali sono le direzioni da prendere? Quale l’intenzione? Il più delle volte il tema mi è nascosto e necessita di essere scoperto. (…) Il vero tesoro emana da sé la propria Luce; un film è nato. Lo spero.”
Apprendo con sconcerto della scomparsa di Robert Todd (1963 – 2018), filmmaker, artista e docente di cinema sperimentale all’Emerson College di Boston, che ho avuto modo di scoprire grazie alla rassegna monografica “Robert Todd Lost Satellite” organizzata dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema (Pesaro 2016, a cura di Mauro Santini e Gianmarco Torri).
Spesso si parla di poesia a sproposito, ma Todd era un poeta vero e naturale; un filmmaker che non ha avuto bisogno di rivestire artificiosamente le cose di lirismo, poichè le cose stesse si sono rivelate alla sua sensibilità.
Todd “si libra sulla vita e intende il linguaggio dei fiori e delle cose mute”; la sua macchina da presa possedeva la capacità di cogliere, senza sforzo, l’anima di un filo d’erba tremulo o di una corolla in boccio. Vedere i suoi film è come leggere le poesie di Emily Dickinson: la natura ha un respiro religioso, tanto vive di una divinità propria.
I ruscelli, la pioggia, le nuvole: nelle immagini di Todd accediamo ad una natura che è “l’urna molle e segreta” pascoliana, in cui si schiude una felicità nuova.
Todd ha avuto un dono: quello di poter sentire l’armonia dell’universo e di vedere il movimento eterno della natura. Per il suo cinema inventerei un nuovo genere: il cinema dell’incanto.