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Ho esitato a lungo prima di scrivere un articolo su Hardcore! di Ilya Naishuller; se si ama davvero qualcosa si teme sempre di non rendergli giustizia. Eppure Hardcore!, dalla prima visione, non mi ha più lasciata. E’ stato come innamorarsi del cinema una seconda volta, con la freschezza dei miei anni giovanili, quando la visione di un film offriva sensazioni mai provate. Perché se il cinema contemporaneo tenta ancora di superare se stesso e la soglia del visibile – e lo fa, come nel caso di Hollywood, spesso attingendo a soluzioni stanche e rassicuranti: l’animazione in cgi che ricrea una realtà dichiarandola insufficiente – il film di Naishuller è una corsa a perdifiato “dentro” il reale.
Naishuller prende la vita – sporca, grezza, improvvisata – e la trasforma in una esperienza visiva inattesa. Guardare Hardcore! è come rituffarsi nel cinema delle origini, in quella silent era che faceva dell’attore e del film un “corpo” unico. Il film di Naishuller è girato completamente in soggettiva, e la macchina da presa buca la realtà in un acrobatico funambolismo che sfida lo spazio e il tempo. Non si può non pensare ai comici del muto – da Buster Keaton a Harold Lloyd a Harry Langdon – penzolanti da gigantesche lancette, in bilico su cornicioni, appesi e dondolanti dall’alto di grattacieli oppure a pochi millimetri da un treno in corsa. Cinema di nonsense e velocità, figlio di un’altra epoca, quando le norme di sicurezza erano inesistenti o spesso disattese, e l’attore o lo stuntman erano disposti a tutto pur di avere un girato che scioccasse lo spettatore, o destasse meraviglia senza fine. Il mondo reale diveniva terreno di infinite possibilità: lo slapstick era trasgressione e sperimentazione. Se il cinema era nato da una matrice fotografica, i grandi pionieri del comico muto spostarono il suo specifico sul movimento parossistico. E Naishuller, a suo modo, realizza una piccola rivoluzione.
L’equivoco è l’origine “videoludica” del suo film: Hardcore sicuramente si innesta sulla fantasia contemporanea creata dai videogames, ma ricostruisce questo immaginario nella realtà. La bellezza del film è in questa sfida: ricreare, con vere riprese, l’emozione sintetizzata in tutta sicurezza dall’animazione digitale. Tornare sulla terra, correre attraverso stretti corridoi sul vuoto, saltare da pericolose altezze, gettarsi sull’asfalto, farsi male: qualsiasi cosa pur di violentare il reale, accedere là dove non sembrava possibile. E lo spettatore è coinvolto in un viaggio accelerato che lo trascina da un mondo all’altro, da palazzi fatiscenti ad auto in corsa a autobus affollati o locali notturni: sempre più veloce, sempre più impazzito, mentre ai suoi occhi la realtà toglie un velo dopo l’altro, fino a trasformarsi in un budello inconscio di luci al neon, sotterranei, verità che si stratificano e si moltiplicano.
Naishuller conduce questo gioco senza la minima approssimazione ed è questo il dato stupefacente del film. Sebbene il suo approccio da regista sia innocente ai limiti dell’incoscienza, nessuna immagine da lui prodotta nasce dal caso. Il POV scivola via attraverso porzioni di realtà accuratamente studiate: c’è un grandissimo senso compositivo. Se l’odissea del protagonista Henry è un susseguirsi di entrate ed uscite in dimensioni grottesche e sorprendenti, il “tunnel” di continuità predisposto dall’occhio di Naishuller nasce da preparazione tecnica, sguardo, cinefilia. Nulla a che vedere con la sciatteria del cinema di found footage, il più grosso alibi contemporaneo per la mediocrità. Naishuller ci introduce “dentro” inquadrature raffinate e di ascendenza colta: impossibile non cogliere numerose allusioni kubrickiane, o all’ingegneristico onirismo di Nolan. Eppure la cinefilia di Naishuller non è un vezzo, uno sterile sfoggio: è una prospettiva innestata nel suo dna, persino inconscia.
Su tutto resta il desiderio di creare un film pazzo, estremo, in cui il sangue si mescola alla droga, al sesso, alle continue esplosioni. Si respira aria di noir, le femme fatales colpiscono al cuore, e tutto il mondo è immerso in un eterno chiaroscuro. Il cattivo ha le fattezze di un Kurt Cobain robotico e crudele, e il suo esercito sembra la moltiplicazione all’infinito dei drughi di Arancia Meccanica. Naishuller indossa la sua GoPro, mescola Tarantino, i western, la fantascienza e cancella la noia di tanti supereroi americani con un pugno fatto di ferro e carne. Il suo viaggio allucinante è puro piacere.
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