Innanzitutto si è grati ad un film come Hitchcock/Truffaut perchè finalmente rende giustizia alla statura artistica del regista inglese e appanna il ricordo del terribile, infamante biopic Hitchcock del 2013, che ce lo mostrava come un pachiderma inebetito e succube della moglie. Hitch, grazie ai filmati di repertorio e alle registrazioni, qui ci viene restituito con la sua mente brillante, superiore, pienamente consapevole della propria visione artistica e volto a conseguirla con ogni mezzo. Un uomo tutt’altro che insicuro; un regista determinato, con una concentrazione ed una visionarietà che abbracciava tutte le cose, dalla più grande alla più piccola (celeberrimi i suoi piani sequenza in grado di stringersi su un dettaglio) , e capace di servirsi della propria preparazione ingegneristica per ottenere un cinema più forte del tempo e dello spazio.
Hitchcock/Truffaut è senza dubbio un progetto ambizioso, e nato dall’amore di Kent Jones per i due registi: il materiale trattato riluce di ammirazione e gioia. Allo stesso tempo il film, e non poteva essere altrimenti, risulta un documento incompleto: quasi un “teaser trailer” di ciò che si trova nel libro, e delle meraviglie che scaturiranno dalla sua lettura.
Il libro Il cinema secondo Hitchcock, nato dalla lunga conversazione del giovane Truffaut con il maestro della suspense, ed opera fondamentale ai fini della sua revisione critica (non dimentichiamo che agli occhi dell’America i film di Hitchcock avevano unicamente valore spettacolare/popolare), resta infatti un oggetto magico/mitico. Kent Jones ne apre le pagine, ne illumina alcune righe; scorre i capitoli, si sofferma sulle illustrazioni. Ma era chiaro che il suo film non poteva contenere il fiume ininterrotto di racconti, rivelazioni, confessioni, procedimenti tecnici ed emozionali che fanno vibrare le pagine del volume.
Il cinema secondo Hitchcock resta un libro unico nel suo genere perchè in ogni frase si avverte un senso di scoperta: che è allo stesso tempo di Truffaut e nostra. Truffaut rivelò al mondo la grandezza nascosta dell’autore: un autore che aveva sempre preferito sacrificarsi al cinema e ai film; talmente bravo da dover contenere talvolta la propria ribollente visione per ottenere immagini limpide, evidenti, cristalline, iperrealiste, e non appesantire le opere con inutili esibizionismi. Un uomo per cui il cinema veniva sopra ogni cosa: cinema puro, direttamente disceso dall’arte del muto, e votato alle emozioni umane.
Hitchcock, come tanti altri registi che lavorarono ad Hollywood, fu incompreso da una critica che andava alla ricerca del “senso” e dell’apparente “nobiltà” dell’arte cinematografica.
Fu solo in un secondo momento che il regista inglese, così come Hawks, John Ford, ma anche Von Sternberg o Tashlin, divenne oggetto di studio e venerazione, a partire dal lavoro dei critici francesi dei Cahiers du Cinéma. Figure quali Godard, Chabrol, Rohmer, e lo stesso Truffaut, allora giovanissimi e turbolenti, avranno la nostra eterna gratitudine perchè ebbero occhi per vedere; non solo riconobbero la bellezza, ma la liberarono da quelle orrende prigioni critiche (tutt’ora esistenti) che tentano di dividere il cinema in alto o basso, decoroso o volgare.
Il film di Kent Jones corteggia il libro e lo mette al centro di una sorta di “pellegrinaggio ideale” di altri registi, tra cui David Fincher, Peter Bogdanovich, James Gray, Martin Scorsese, Wes Anderson e Paul Schrader. Ognuno di loro esprime un ringraziamento quasi pervaso di religiosità; significative le parole di Anderson, che con grande umiltà dichiara: “Hitchcock era talmente pieno di cinema che noi tutti, ancora oggi, cerchiamo di imitarlo e rifare ciò che egli ha fatto”.
Kent Jones monta le interviste assieme a brani di film, retroscena, foto pubblicitarie e di lavorazione, mettendo insieme un documentario che ha un’unica pecca: la sua convenzionalità. L’impianto di Hitchcock/Truffaut è quello di una lectio magistralis, ed è un controsenso se si pensa all’antiaccademismo e all’anarchia di Truffaut, ma ancora di più alle ossessioni di Hitchcock: un artista terrorizzato dalla noia e alla ricerca di un continuo gioco a tre con lo spettatore, per precipitarlo in una vertigine emozionale tra senso di colpa e godimento perverso.
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