Appartengo alla cerchia, probabilmente esigua, di coloro che considerano i due Zoolander come l’espressione della vena migliore di Ben Stiller, e infinitamente più interessanti di I sogni segreti di Walter Mitty, il suo tentativo di cinema più misurato e “profondo”.
Con il primo Zoolander, Stiller ha inventato una mitologia irresistibile: un campionario di personaggi eccessivi e caricaturali, totalmente inseriti in un mondo dotato di leggi proprie in cui la cretineria è la regola. Proprio nell’autonomia di questo mondo risiede il fascino di Zoolander: Ben Stiller ha messo in scena una dimensione parallela in cui ritrovare, deformi, gonfiati, grotteschi, i tratti della nostra società; un microcosmo in cui il gesto più sciocco, la frase più scriteriata hanno un senso riconosciuto da tutti: la normalità dell’idiozia. Ovviamente, dietro tanta superficialità c’è una messa a nudo impietosa, scarnificante, della demenza del nostro presente alla deriva. Al regista comunque non interessa una presa di posizione seria; vuole divertire e divertirsi, e non c’è dubbio che anche in Zoolander 2 l’impressionante numero di celebrità (attori, stilisti, cantanti) sembri spassarsela.
Meno riuscito del primo episodio, cui giovavano la freschezza e linearità di trama, Zoolander 2 è appesantito da una sceneggiatura virata all’action, che snatura in parte la sublime banalità dei due protagonisti. Eppure è un film che, tra sovraccarichi di colpi di scena, invenzioni stanche ed un ritmo troppo accelerato (quasi insostenibile nella seconda parte) offre ancora qualche fotografia brillante della spazzatura della nostra epoca.
Tra le cose notevoli: una Roma notturna percorsa in motocicletta (come Fulci aveva fatto ne I Guerrieri dell’anno 2072); la surreale apparizione della “famiglia” di Hansel, che in modo ilare fa a pezzi qualsiasi convenzione; la pubblicità Aqua Vitae (stupida quasi quanto le reali pubblicità di profumi); ma soprattutto un sensazionale Benedict Cumberbatch che da solo vale il prezzo del biglietto. La sua esibizione nei panni del transessuale Tutto è fantastica e si imprime nella retina; ed il fatto che in USA i movimenti transgender abbiano lanciato una petizione per denunciare la presunta “transfobia” del film la dice lunga sulla tristezza del politically correct: l’autoironia è morta, e con essa l’abbandono ad un godimento puramente umoristico.
Stupisce che una simile petizione non sia stata sollevata anche dagli spettatori sovrappeso, dal momento che i due modelli Derek e Hansel, in una delle scene più divertenti del film, sono rosi dal dubbio che i “ciccioni” siano anche “brutte persone”.
Simili iperboli non possono essere prese sul serio, ma godute in un luna-park di eccessi cafoni, in cui ridere della nostra ottusità in aumento esponenziale.