
Come stupirsi dell’Oscar come Miglior Film assegnato a Il caso Spotlight? Il film di McCarthy è l’opera perfetta in cui la tormentata America, in un’epoca di forti contraddizioni e perdita di identità, possa rinvenire la propria immagine. Ed è un’immagine che già il poster del film, di grande forza iconica, riesce a tradurre in forme chiare ed evidenti: la posa in cui sono fissati gli attori, quel senso di comunità ed operosità che li anima nei volti e nei gesti, la circolarità dei personaggi attorno al tavolo, ed infine la luce – bianca, decisa, abbagliante, che li investe dall’alto; è un’immagine di per sé “religiosa”, in cui un gruppo di individui legati da una fede comune (il “caso” da risolvere, l’indagine da portare avanti) rinuncia a qualsiasi personalismo allo scopo di far trionfare la verità.
E difatti ne Il caso Spotlight i personaggi non sono mai autonomi, ma tasselli di una collettività: li vediamo dividersi i compiti, assegnarsi ruoli, ed infine far combaciare ogni frammento in un grande disegno rivelatore; la loro strettissima complementarietà è essenziale, e questa visione coincide tanto con la morale cattolica che individua nell’umanità le “braccia e mani” della Chiesa, quanto con la mentalità americana che vede una natura messianica in quella “solidarietà collettiva” che determina lo slancio socio-politico del paese.
In poche parole, Il caso Spotlight non è un film sovversivo, e non punta a sgretolare quel cattolicesimo su cui gran parte dell’America poggia le sue basi: anzi, l’opera mira a rafforzare quello spirito, scardinando le travi marce su cui si regge il sistema per erigere nuovi speranze. Del resto, come afferma Michael Keaton: siamo tutti di origine cattolica. La religione è uno dei grandi strumenti attraverso cui l’America giustifica il proprio atteggiamento colonialista, il potere, la superiorità intellettuale. Per questo motivo Il caso Spotlight è dominato dalla luce bianca (il neon degli uffici giornalistici, si dirà), che non ha solo funzione realistica ma è in realtà il filtro con cui si rapporta alle cose.
Il caso Spotlight, difatti, pur trattando una delle materie più atroci e abissalmente nere del nostro contemporaneo, è un film del tutto privo di lati oscuri. Si regge sul bianco della fede; sul bianco della correttezza e professionalità dei giornalisti; sul bianco dell’inchiesta condotta con sorprendente facilità di cause ed effetto; su di un candore che è quello dell’anima del gruppo di detective-reporter.
McCarthy gira con grande pragmatismo e adatta lo stile di ripresa alla precisione della sceneggiatura: i dialoghi si snodano su perfetti campi-controcampi; le ricerche sono enfatizzate da piani sequenza in cui vediamo i reporter di spalle, e li seguiamo nelle labirintiche inchieste; il regista alterna una messa in scena più rigida e matematicamente proporzionata a scene mobili, irregolari, realizzate con macchina a mano, per un effetto di presa diretta sul reale. Ma l’inchiesta sottende una parabola, lineare e catartica.
Il caso Spotlight è un film religioso: magnifica lo spettatore americano, che avrà modo di espiare i peccati della propria superficialità ed individualismo, e si sentirà corroborato all’idea di far parte dell’identità collettiva d’America, giusta, pura e illuminata, redenta dal lavoro e da una superiore spinta alla giustizia. In questa luce, lo svelamento dei casi di pedofilia è solo un effetto collaterale.