CAROL di Todd Haynes

carolCarol non è, forse, il miglior film di Haynes, ma un’opera importante in cui la storia d’amore diviene lo strumento per mettere a confronto due mondi e due linguaggi.
In questo racconto che tende alla spiritualizzazione (c’è sempre una forte spinta alla trascendenza nel lavoro di Haynes), Carol e Therese assumono un valore che va oltre la loro corporeità e dimensione umana: sin dalle prime scene il regista fa del rapporto tra le due donne il punto critico di una trasformazione, di un passaggio che è anche stilistico.
Therese è il simbolo di quella tendenza al realismo che nasce nell’arte americana dei ’50: e difatti Haynes la rende protagonista di scene vive, mobili, illuminate da luci naturali e da una regia moderna; camera a mano, ambienti socialmente più “bassi” ma appassionati, propulsivi al cambiamento. Quando Therese è in scena sembra di assistere ad un film della nouvelle vague, poetico e alla ricerca di verità. All’opposto, Carol è il passato e Haynes lo rappresenta in forme regali quanto immobili: è un passato-emblema di una società al tramonto, ma anche l’addio ad un’arte – un cinema – divistico, innaturale, imbrigliato (quanto esaltato) dalle leggi dello studio system.

Carol è, sotto molti aspetti, un fantasma. La sua presenza ricorda quella delle grandi attrici del muto: è vittima della sua stessa perfezione, bloccata nell’espressione enfatica e teatrale delle proprie emozioni. Le scene che vedono Carol come protagonista sono una riproduzione – quasi sognata, remota ed immobile – del grande cinema hollywodiano, fatto di technicolor e di finzioni evidenti (alcuni trucchi vengono rivelati al pubblico in tutto il loro fascino obsoleto, come una scena in automobile).
L’incontro tra Carol e Therese diviene non solo una passione proibita, ma anche l’attrazione tormentata tra due epoche che si susseguono. Haynes orchestra con grande amore questo doloroso rendez-vous: il regista è da sempre un profondo ammiratore e conoscitore della Hollywood classica (si pensi al Sirkiano e bellissimo Far from Heaven, ma anche al filologico e affascinante Mildred Pierce), eppure il vero cuore del film è la sua Therese, la giovinezza impulsiva e innocente, il cambiamento, la rivoluzione.

Rooney Mara è l’attrice perfetta per la parte: bella come Audrey Hepburn, incarna una nuova figura femminile, più naturale e consapevole di sé; mentre, parallelamente, il cinema intorno a lei si muove, cambia forma e colore.
La vera malinconia del film è questo agitarsi di due epoche: i momenti più emozionanti sono quelli in cui la contaminazione si riflette sul corpo delle due protagoniste – una Therese truccata, abbellita, mentre al contempo Carol si mostra provata, senza rossetto, senza algido autocontrollo.
Haynes perde emozioni là dove si concentra troppo sulla forma, ma indubbiamente Carol è tra le opere più significative della sua carriera: un saggio teorico ed estetico di un artista che vive e riflette le mutazioni dell’arte e del tempo.